Autostrade, la resa dei conti nel mosaico del Nord Est
Tra concessioni in scadenza, proroghe tecniche e affidamenti in house mai chiusi, si gioca una partita che vale miliardi e tocca l’asse infrastrutturale più strategico del Paese: da Verona a Venezia a Trieste, fino al Brennero

Nel mosaico autostradale italiano, il Nord Est è diventato la frontiera più delicata del rapporto tra politica e mercato. Tra concessioni in scadenza, proroghe tecniche e affidamenti in house mai chiusi, si gioca una partita che vale miliardi e tocca l’asse infrastrutturale più strategico del Paese: da Verona a Venezia a Trieste, fino al Brennero.
La lettera di messa in mora arrivata da Bruxelles l’8 ottobre ha riacceso un faro su un sistema che per la Commissione europea resta opaco. Diciannove pagine dense, indirizzate al Mit di Matteo Salvini, che contestano due pilastri del nuovo Codice dei contratti pubblici — la finanza di progetto e il diritto di prelazione — accusati di violare i principi comunitari di concorrenza e trasparenza.
In particolare, scrive la Commissione, le norme italiane «non garantiscono sufficienti tutele di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione», soprattutto quando consentono al promotore di un progetto di esercitare la prelazione in caso di gara. Tradotto: le concessioni devono passare da gare aperte, non da accordi riservati.
E nel mirino finiscono due partite decisive per il futuro economico del Nord Est: la A22 del Brennero e la A4 Brescia–Padova. Due arterie ad altissima redditività, che generano utili e potere, e che fanno gola a più di un soggetto istituzionale e industriale. In primis alla Regione Veneto, che attraverso Cav – Concessioni Autostradali Venete punta da anni a costruire una sorta di holding del Nord Est, unificando le partecipazioni in A4, A57 e A28 sotto un’unica cabina di regia pubblica.
«È evidente che l’affidamento in house necessiti di giustificate motivazioni», aveva detto Elisa De Berti, vicepresidente della Regione Veneto e assessora alle Infrastrutture. «Spetta al ministero delle Infrastrutture fare le verifiche necessarie e individuare le motivazioni economiche».

L’unico dossier chiuso è quello di Autostrade Alto Adriatico, concessionaria della A4 Venezia–Trieste e delle tratte collegate (A23, A28, A57). La società, a totale capitale pubblico, è stata costituita nell’aprile 2018 dai soci Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (92,53%) e Regione del Veneto (7,47%). Dal 1° luglio 2023, la società è subentrata ad Autovie Venete nell’esercizio della concessione delle tratte A4 Venezia–Trieste, A23 Palmanova–Udine Sud, A28 Portogruaro–Conegliano, A57 Tangenziale di Mestre (fino al Terraglio) e A34 Villesse–Gorizia.
Sul piano industriale, il cantiere principale resta la Terza Corsia Venezia–Trieste, un investimento drenante da 4,5 miliardi, già avviato e destinato a proseguire sotto la nuova gestione.
La nuova concessionaria, nata come soluzione “in house”, ha consentito di dribblare il rischio di una gara europea. «Una società modello a livello nazionale – sottolineava ai tempi il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga –, ispirazione per chi volesse intraprendere lo stesso percorso». L’iter è stato avviato nel 2018 con la costituzione della Newco da parte di Friuli Venezia Giulia e Veneto, è proseguito attraverso un lungo negoziato con Bruxelles per individuare la cornice giuridica — un Accordo di cooperazione tra soggetti pubblici — che permettesse di legittimare l’affidamento diretto.
Dopo cinque anni di interlocuzioni, la Corte dei Conti ha registrato il decreto interministeriale di approvazione, aprendo la fase operativa del passaggio alla nuova società. Da luglio 2023, Autostrade Alto Adriatico gestisce quindi in regime pubblico le tratte in concessione per i prossimi trent’anni.
Con l’aggiornamento del piano economico-finanziario sono stati programmati 1,89 miliardi di investimenti per opere da eseguire nel periodo concessorio, principalmente sul tratto Venezia–Trieste. Tutto questo senza prevedere aumenti dei pedaggi sulla rete di competenza, almeno per il biennio 2025–2026, e con utili per decine di milioni da trasferire ai soci pubblici fino allo scadere della concessione. È la promessa della società.
Più controverso il caso dell’Autostrada del Brennero (A22 Modena–Brennero), gestita da una società a capitale prevalentemente pubblico (oltre l’84%), ma formalmente privata. La concessione è scaduta nel 2014 e da allora prosegue in regime di proroga tecnica, con utili pari a 98 milioni nel 2024 e oltre 800 milioni cumulati in dieci anni. Nel 2022 Autobrennero ha presentato al Mit una proposta di project financing per il rinnovo, con un piano da 9,2 miliardi e diritto di prelazione.
Da quella proposta è scaturito il bando del dicembre 2024, oggi sospeso. La clausola di prelazione, subordinata al parere della Commissione europea, è stata giudicata incompatibile con il diritto Ue dalla Dg Grow, il direttorato che si occupa del mercato interno. Il Mit, invece di eliminare la clausola, ha congelato l’intera procedura con il Decreto 92 del 27 giugno 2025, prorogando di fatto lo status quo.
Il Codacons ha reagito con un esposto all’Agcm, all’Anac e alla Corte dei Conti, denunciando una proroga “sine die” a favore del concessionario uscente. «Il combinato disposto tra sospensione della gara e proroga ultradecennale integra una violazione delle direttive su concorrenza e appalti», sostiene l’associazione, ipotizzando anche un potenziale aiuto di Stato. La richiesta è netta: annullare in autotutela il decreto, riaprire la gara depurandola da clausole incompatibili e rimettere la competizione al centro.

La terza partita è quella di A4 Holding (Gruppo Abertis), che gestisce la A4 Brescia–Padova e la A31 Valdastico. La scadenza della concessione, fissata al 31 dicembre 2026. Nel frattempo, sulla A4 non si sono mai fermati i lavori per le nuove opere, tra cui l’interconnessione con la Superstrada Pedemontana Veneta, inaugurata lo scorso anno, e la realizzazione della nuova stazione di Castelnuovo del Garda, per un valore complessivo pari a decine di milioni. Mentre il completamento della Valdastico Nord, ancora oggi non realizzato a causa dei numerosi veti contrapposti, rappresenta un nodo infrastrutturale rilevante che continua a condizionare il quadro complessivo.
Anche qui Bruxelles osserva da vicino: secondo il Codacons, l’annunciato affidamento in house a Cav (controllata dalla regione Veneto) dal 2027, senza gara pubblica, violerebbe gli impegni europei e restringerebbe l’accesso di nuovi operatori, con effetti distorsivi su efficienza e qualità del servizio. In questo senso, anche il progetto di ampliamento a quattro corsie, che snellirebbe i flussi di traffico agevolando l’utenza, è vincolato alle scelte sull’affidamento della concessione alla scadenza, e quindi l’investimento necessario sul fronte della sicurezza diventa anche meno certo.
Da un lato le Regioni, che rivendicano autonomia gestionale e reinvestimento dei pedaggi sul territorio; dall’altro Bruxelles, che chiede regole uguali per tutti. In mezzo, società che generano dividendi milionari e che per anni hanno operato in equilibrio tra pubblico e privato.
La prorogatio, un tempo strumento transitorio, si è trasformata in regime ordinario. Ma per l’Europa – e per i cittadini che pagano i pedaggi – la vera modernizzazione passa per una sola via: gare aperte, tempi certi, vincitori selezionati sul merito. —
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