Weissenfels è fuori dalla crisi e punta ai 20 milioni di ricavi

Il confine di stato con la Slovenia dista neanche un chilometro. Appena sopra gli stabilimenti produttivi si aprono gli specchi d’acqua di Fusine. Tutt’intorno, i pini stringono la manifattura forse più orientale del Paese. Una fabbrica, la Weissenfels di Tarvisio, che negli ultimi 20 anni ha conosciuto il fallimento a più riprese, l’ultima volta nel 2016 quando in Val Canale sono arrivati i giapponesi di Kito Corporation, multinazionale all’epoca quotata alla borsa di Tokyo, che ha saputo vedere, in quella serie di capannoni datati, i primi all’inizio del ‘900, una possibilità. Ci sono voluti 7 anni ai nipponici per riportare l’azienda all’utile. Sette anni di determinata e coraggiosa fiducia in una visione, di investimenti e di lavoro a testa bassa per ricostruire i rapporti con clienti e fornitori.

«Perché quando siamo arrivati - ricorda l’amministratore delegato di Kito Weissenfels, Raffaele Fantelli - avevamo un portafoglio ordini di appena 30mila euro e il fatturato ridotto a zero». Weissenfels era al capolinea, non fosse per la tecnologia lasciata in eredità alla fabbrica dall’ingegner Carlo Melzi tre decadi prima, una dote che ha indotto Kito Corporation a decidere che nonostante tutto, un tentativo meritava d’esser fatto. I conti chiusi lo scorso 31 marzo danno ragione alla multinazionale, che nel frattempo è entrata nell’orbita di Kkr, uno dei più grandi fondi di private equity al mondo (proprietario, tra l’altro, di Magneti Marelli e in corsa per l’acquisto di Telecom), che ha rilevato Kito e l’ha fusa con la controllata Crosby dando vita a un un colosso da 1,3 miliardi di ricavi, leader globale nel settore dei sistemi di sollevamento.

Weissenfels ha chiuso il bilancio 2022/2023 a 15,2 milioni di euro con un Ebitda di circa 750mila euro. «Il primo in positivo dall’arrivo di Kito Corporation» fa sapere Fantelli abbracciando con lo sguardo il grande studio che è stato di Melzi, «uguale - parola sua - a come l’ingegnere lo ha lasciato». Quadri alle pareti, locandine pubblicitarie dei prodotti Weissenfels, la sconfinata scrivania, le finestre spalancate sul sito produttivo. Un sito che in realtà è tutt’altro che uno, con capannoni che si susseguono, senza coerenza formale, uno accanto all’altro, alcuni ancora in attività, altri ormai abbandonati da tempo.

«L’azienda è cresciuta sposando le necessità produttive, pezzo dopo pezzo» racconta ancora Fantelli che anche a questo proposito non è rimasto a guardare, complice la vicinanza della Regione e del Comune di Tarvisio. Una parte degli stabilimenti che oggi sono utilizzati da Weissenfels sono infatti di proprietà pubblica, oggetto di un intervento di messa in sicurezza da parte della protezione civile regionale, per un importo stanziato dalla Regione a favore del Comune di Tarvisio di 4 milioni di euro.

«Grazie a questi interventi - fa sapere l’Ad - sposteremo gli uffici e concentreremo la produzione». Si tratta, va detto, di investimenti che si affiancano a quelli realizzati in prima persona da Kito Corporation, che in 7 anni a Tarvisio, tra acquisizione della società e investimenti, ha speso 24 milioni di euro di cui 6,5 milioni per dotare gli stabilimenti produttivi di nuove tecnologie, tali da consentire di controllare tutto il processo produttivo».
«Oggi le nostre catene vengono realizzate interamente a Fusine. Compriamo da fuori solo la materia prima. Garantiamo qualità e capacità produttiva: da qui - svela Fantelli - escono quasi 3.500 tonnellate di catene all’anno per 2 milioni di metri e quasi 600 tonnellate di ganci. Tutti, rigorosamente, marchiati Weissenfels. L’obiettivo? Arrivare entro il 2026 a 20 milioni di fatturato e a 120 dipendenti».
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