«Wall Street è il “giorno 1” per Stevanato, investiremo in Italia e un nuovo impianto Usa»
Parla Franco Stevanato, presidente del gruppo di fiale per big pharma
«Potremo vendere altri titoli sul mercato alla fine del periodo di lockup».

«Un onore e una emozione, è stata una bella maratona, siamo riusciti a raggiungere un importante obiettivo. Ma il nostro viaggio non termina qui, questa Ipo a New York è il giorno uno».
Franco Stevanato, classe 1973, presidente esecutivo del gruppo dei contenitori in vetro per il settore farmaceutico con sede a Piombino Dese, nel padovano, si volta e indica l’immagine del nonno. «Vede questo? È la nostra prima macchina, settant’anni fa».
Stevanato Group è considerato il re delle fiale per big pharma, siete i numeri uno in una nicchia e parlate da pari con aziende che sono dieci quindici volte voi, andate al Nyse e siete la terza Ipo italiana, nella storia, a Wall Street per capitalizzazione. Che effetto fa?
«E’ entusiasmante, stiamo raccogliendo anche i risultati di decenni di grossi sacrifici, della nostra costanza e dell’impegno delle nostre persone. La quotazione serve a ricapitalizzare l’azienda per finanziare la nostra crescita futura. Siamo una società che per settant’anni si è sempre autofinanziata. È la politica dell’azienda dai tempi di mio nonno. E la nostra storia è piaciuta. E la nostra storia è piaciuta. Ci espanderemo investendo a Piombino Dese, e con un nuovo plant a Fishers in Indiana in Usa (circa 150/200 milioni di investimento ndr). E tutto per i nostri prodotti ad alto valore aggiunto, che sono contenitori presterilizzati per i farmaci».
La quotazione è un piano che parte da lontano.
«Sì erano dieci anni che ci pensavamo, ma prima di andare sul mercato dovevamo avere tutte le caselle spuntate. E cioè una presenza globale, per essere percepiti anche come partner globali, oggi abbiamo 16 stabilimenti nel mondo. Poi doveva esserci la ricerca e sviluppo. Ci siamo sempre distinti dagli altri non come dei fornitori. Noi siamo in grado di collaborare con le case farmaceutiche fin dalla fase pre-clinica fino a quando i nostri clienti devono fare produzioni importanti: dall’insulina, agli antitumorali, l’eparina, i vaccini fino ai biotech. Con i nostri centri tecnologici specializzati in servizi analitici, qui a Piombino Dese e il suo “gemello”a Boston, abbiamo aperto una pipeline che ci permette di supportare le aziende farmaceutiche fin dalle fasi di sviluppo dei farmaci. E il terzo pilastro, la più importante, il lavoro sulle nostre persone. Abbiamo un cda di 12 membri, tre sono gli azionisti, mio fratello, mio padre ed io e gli altri sono indipendenti, quattro sono americani che vengono da società farmaceutiche molto importanti. E infine abbiamo un gruppo di management team di altissimo livello. E tutto questo piace al mercato, noi abbiamo una customer retention di più del 97 per cento. Non è banale nel nostro settore».
Perché avete preferito il mercato americano per raccontare questa vostra storia? E come mai rispetto a quanto annunciato avete collocato meno azioni?
«Perché New York e gli Stati Uniti sono il cuore dell’industria farmaceutica a livello globale. Ma la nostra bandiera e il nostro portafoglio, perché il nostro consolidato lo facciamo qui, resteranno sempre italiani. E continueremo ad investire qui. Sul Nyse non hai un vincolo di azioni da mettere a disposizione, noi siamo entrati con target tra 21 e 24 dollari e abbiamo raggiunto il nostro obiettivo di prezzo. Sono settimane un po’ particolari per le borse, noi guardiamo al lungo periodo. Il mercato ci sta valutando 21 volte l’ebitda atteso nel 2022. E ci riserviamo anche di vendere più azioni alla fine del periodo di lock up».
Il mondo vi ha conosciuto per il vostro impegno nella pandemia, con la fornitura ad esempio – all’interno dell’agreement con CEPI – di flaconi in vetro per circa 2miliardi di dosi dei vaccini contro il Covid-19.
«Siamo sempre cresciuti in questi anni, il coronavirus ha impattato per una percentuale molto ridotta sul nostro fatturato. Noi siamo focalizzati a puntare sui nostri prodotti a valore aggiunto, fornendo tra l’altro competenze e tecnologie per i device di somministrazione dei farmaci. Perché una persona malata deve avere la possibilità di curarsi mantenendo una buona qualità della vita».
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