Moritsch Cranes, leader nelle gru: «Anno positivo, l’incognita è il 2021»

Fatturato a 18 milioni di euro, l'idea di vendere alle società di noleggio gru: un'innovazione nel modello di business che sta dando i risultati
Mariano Moritsch
Mariano Moritsch

BELLUNO. Una vita per le gru, esplorando i quattro angoli del mondo. Ed alla fine Mariano Moritsch ha dato vita alla sua azienda, eredità dell’esperienza della Comedil fondata dal padre Ferruccio (1935-2011) nel 1963.

«Mio padre – spiega Mariano – mi ha dato la possibilità di viaggiare, di fare esperienza, di sbagliare, di “pagare” gli errori fatti ed anche di ripartire. Ma soprattutto mi ha lasciato questa grande passione per le gru, che sono un sofisticato strumento per costruire. In particolare quelle di nostra fabbricazione, che hanno un paio di caratteristiche che le rendono davvero uniche: le grandi dimensioni ed il braccio mobile, impennabile. Per questo sono richieste in tutto il mondo».

Famiglia di origine austriaca, della Carinzia, Ferruccio Moritsch fonda la Comedil a Ponte nelle Alpi nel 1962, quando Mariano (classe 1964) è appena un bambino. Uno stabilimento chiuso nel 1983, a causa della crisi del mercato, e poi riaperto nel 1986 in partnership con Bruno Casagrande, che ha un’azienda a Pordenone che produce macchinari per fare fondazioni, la Casagrande Spa.

«Io – ricorda Mariano – sono entrato nel 1989 ed ho cominciato ad andare in giro per il mondo valutando concretamente il potenziale di espansione della nostra azienda all’estero. Ho viaggiato tantissimo, soprattutto in Asia, con base a Singapore, ma spaziando per tutto il Sud-est asiatico, Filippine, Corea, Hong Kong. Tutti territori, questi, che oggi sono ormai persi a favore dei costruttori cinesi. Mi occupavo dunque del commerciale estero per le gru di grandi dimensioni, gru a torre per l’edilizia. Ed abbiamo iniziato a lavorare molto anche in Inghilterra, partecipando in prima persona alla costruzione di tutti i palazzi più alti di Londra, come lo Shard of glass di Renzo Piano, The Gerkin di Norman Foster ed altri famosi grattacieli, che avevano bisogno di macchinari particolari. Il tutto fino al 2001».

Cosa è successo quasi venti anni fa?

«Mentre ero in Usa per lavoro, ho avvicinato una multinazionale americana che si era detta interessata alla nostra azienda, più che alle singole gru. Così abbiamo deciso di vendere la Comedil alla Terex, una società americana con sede a New York, quotata in Borsa, che all’epoca fatturava sui 54 miliardi di dollari contro i nostri 150 milioni dell’epoca. Io ho fatto cinque anni il manager di questa multinazionale ed ho imparato molto, ovviamente, passando da un’azienda a carattere familiare ad una grande e complessa realtà industriale. Un’esperienza formativa importante, ma il mio spirito imprenditoriale ad un certo punto è riemerso in maniera prepotente. Così nel 2006, con mio padre, abbiamo deciso di creare una nuova azienda per fare gru solo per i grattacieli, con il braccio impennabile invece che fisso. L’abbiamo chiamata Recom, acronimo di rental company, perché avevamo capito che il futuro del settore era il noleggio. La nostra forza era ingegnerizzare le gru e produrle, l’accordo era che la Terex le avrebbe commercializzate. Ci fu poi la crisi epocale del 2008, la decisione di unire le due sedi di Pordenone e dell’Alpago, la morte di mio padre ed il mio desiderio di dedicarmi ad altro. Da qui l’acquisizione e la ristrutturazione dell’Hotel Astor in centro a Belluno, che ho aperto nel 2014 e gestito in proprio per tre anni e che fa tuttora parte del mio gruppo di aziende, ma le gru restavano la mia vera passione ed allora ho deciso di creare la “ Moritsch Cranes” con un nuovo tipo di business».

Ovvero?

«Il futuro del nostro settore, come dicevo, sta nel noleggio. Una volta vendevamo le gru alla grande impresa di costruzioni, che le usava, ad esempio, in un particolare cantiere, poi le lasciava ferme e quando apriva un altro cantiere, dopo qualche anno, si ritrovava con materiale ormai obsoleto. Adesso noi vendiamo alle aziende di noleggio. Ed in questo senso cambia anche il prodotto che deve essere, nonostante le grandi dimensioni, facilmente trasportabile, assemblabile in tutta sicurezza, ma soprattutto dotato di computer (un plc, programmable logic controller) in grado di fare la diagnostica da remoto per qualsiasi evenienza. Ha presente le macchine di Formula1 dotate della telemetria che fornisce continuamente i parametri che consentono di capire come si stia andando? Le nostre gru di ultima generazione sono così e siamo stati i primi a realizzarle nel 2016. Quando è iniziata questa nuova avventura i miei concorrenti mi chiedevano se non fossi pazzo».

Perché?

«Perché volevo fare un prodotto altamente sofisticato, che ha bisogno di grandi spazi ed ovviamente di grandi investimenti. Cercando peraltro di unire la qualità quasi artigianale della piccola impresa locale alla capacità di stare sul mercato di una multinazionale, che però spesso è molto impersonale nel rapporto con il cliente. Oggi le aziende di noleggio, che svolgono un ruolo centrale, desiderano avere un’impresa manifatturiera che li segua molto da vicino. E per noi diventano un partner, più che un cliente».

E come sta andando?

«Sono soddisfatto. In cinque anni siamo passati da zero ai circa 18 milioni di euro di fatturato, con cui chiuderemo questo 2020, con 25 collaboratori, molto giovani, con due ingeneri donne su dodici, davvero in gamba».

Senza flessioni causa Covid?

«Quest’anno siamo riusciti a crescere, anche perché avevamo delle belle commesse definite prima dell’insorgere della pandemia ed a livello di costruzioni il lockdown non ha creato grossi problemi. La grande incognita è il 2021: nei mercati in cui lavoro io c’è voglia di costruire, ci sono progetti e ci sono denari, ma ulteriori blocchi causa Coronavirus potrebbero far slittare i cantieri. E l’incertezza nella pianificazione è il problema più grosso che si possa presentare ad un imprenditore».

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