«La siderurgia italiana è la seconda in Europa trainata anche da gruppi come la Danieli»

Giuseppe Pasini, presidente di Confindustria Brescia: «Durante il lockdown abbiamo messo in piedi una struttura adeguata per rimanere competitivi» 

Giuseppe Pasini è il presidente di Confindustria Brescia, che riunisce anche l’eccellenza della sidermetallurgia italiana. E la storia della metallurgia ha legato per secoli Brescia e Venezia. Si risale al Rinascimento: miniere di ferro e lavorazione dei metalli in Val Trompia, produzione di armi per la flotta della Serenissima nell’Arsenale di Venezia.

In Italia nordoccidentale prevaleva la lavorazione del ferro al basso fuoco in fucine a tinozza di tipo catalano. Mentre in quella nordorientale lombardo-veneta si diffondeva il protoaltoforno nelle diverse versioni del cannecchio bresciano bergamasco. Pertanto, per le sue esigenze metallurgiche in ambito navale e militare, Venezia utilizzava il metodo bresciano. Giuseppe Pasini è a capo del Gruppo Feralpi, tra i primi produttori europei di acciaio per l’edilizia, con un fatturato di 1,3 miliardi di euro. Intervista si è svolta in collaborazione con Alberto Cavicchiolo.

Come sta affrontando la crisi economica il settore in Lombardia e nel Nordest?

«La metallurgia, sia del ferroso che del non ferroso, è tra i settori con migliore tenuta nell’industria italiana. L’acciaio in particolare ha mostrato una resilienza incredibile. In Lombardia e anche nel Nordest, da quel che mi raccontano i colleghi veneti e friulani, la siderurgia non ha sofferto grandi perdite di ordini».

Quindi ci furono più danni nel 2008?

«Allora la crisi finanziaria comportò una mancanza di liquidità con contraccolpi mondiali, dato che la siderurgia era una delle colonne portanti delle economie orientali e occidentali. Nella crisi per la pandemia, invece, la siderurgia ha tenuto. Durante il lockdown abbiamo messo in piedi una struttura adeguata per rimanere competitivi. Mi riferisco, per esempio, alle Task force nate in tempi strettissimi e ai comitati di resilienza per rendere strutturale la capacità di reazione. Ci sono aziende che stanno investendo nel lungo termine. Perché nella siderurgia ci vogliono dai 5 ai 10 anni perché gli investimenti in ambito ambientale o di processi comportino degli effetti. Decidiamo oggi quel che saremo fra 10 anni, quindi occorre essere resilienti e anticipatori».

Come vede le principali aziende siderurgiche del Nordest?

«Il Nordest è per la siderurgia italiana un grande distretto industriale in cui operano diversi Gruppi molto competitivi e solidi, che hanno saputo portare avanti nel tempo processi innovativi grazie all’adozione delle migliori tecnologie capaci anche di ridurre progressivamente l’impronta ambientale. Lo hanno fatto anche perché sono aziende ben patrimonializzate, che hanno dimostrato di essere resilienti di fronte alle difficoltà, comprese quelle della pandemia da Covid-19. Penso, un esempio su tutti, alla Danieli. Il gruppo friulano, quotato in Borsa, con a capo Gianpietro Benedetti, è uno dei più grandi player globali di settore e un modello di innovazione che ha confermato una tenuta industriale e finanziaria straordinaria».

Come si situa il settore rispetto ai concorrenti tedeschi?

«Dopo la Germania l’Italia è seconda in Europa. Grazie anche all’importante contributo del Nordest, con distretti nati dalla diffusione delle competenze da alcune grandi aziende del territorio. Anche nel Bresciano la Falck ha fatto “da università” a chi si metteva in proprio. Per esempio, mio padre Carlo avviò l’azienda con un capo reparto “rubato” alla Falck, che fece decollare gli impianti e rimase in Feralpi fino alla pensione. La Germania ha certamente una storia industriale più antica. Soprattutto nell’industria pesante, dove i bacini carboniferi hanno fatto la differenza. Inoltre il sistema tedesco ragiona in rete: politecnici e università sono tradizionalmente collegati alle imprese. I tedeschi poi ci fanno capire il valore del brand industriale. Ne hanno creati molti. L’esempio più lampante è l’auto, dove sono sinonimo di qualità top. Un’azienda con un forte brand ha una marcia in più: non è sostituibile come un fornitore indifferenziato». —

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