Guerra e reshoring, le imprese a caccia di nuovi fornitori: «Filiere più corte»

Fiorini: «Non ci sono i container necessari per l’export». Tonon: «Catene di approvvigionamento in difficoltà»
Giorgio Barbieri

«Le stagioni dell’instabilità e delle guerre stanno mettendo sempre più in discussione le nostre catene del valore, a partire da costi e tempistiche di logistica completamente mutate. Ma impongono anche una necessaria revisione di alcuni mercati di riferimento perché, così come avvenuto in Russia ed Ucraina, possono svilupparsi difficoltà in tutta la regione del Medio Oriente, area del mondo in cui la concorrenza di produttori di altri paesi è già presente e l’incertezza potrebbe dare loro nuove possibilità operative». Matteo Tonon, imprenditore e presidente del cluster Arredo e sistema casa del Friuli Venezia Giulia, analizza così gli effetti della crisi che sta coinvolgendo il Mar Rosso.

Le tensioni in quell’area, dove transitano materie prime e forniture energetiche verso l’Europa e il Mediterraneo, rappresentano motivo di forte preoccupazione per le imprese del Nord Est che si trovano a dover fare i conti con le continue frammentazioni delle forniture internazionali.

«Le nostre imprese», aggiunge Tonon, «devono costantemente monitorare e presidiare i mercati di riferimento e, dove possibile, lavorare per alcuni riposizionamenti, un tema complesso e comunque non di sviluppo immediato o di breve termine. Allo stesso modo alcune catene di approvvigionamento stanno mostrando segnali di difficoltà dopo la stagione degli aumenti del post Covid. Una situazione che mostra nuovamente la necessità del mantenimento di filiere corte anche e soprattutto territoriali che possano continuare a garantire la flessibilità che – conclude Tonon – da sempre contraddistingue il nostro comparto».

L’ondata di instabilità colpisce direttamente anche le imprese della logistica. Luca Fiorini, amministratore delegato di DCS Fiorini e presidente del gruppo Trasporti, logistica e portualità di Confindustria Veneto Est, spiega che quanto sta accadendo nel Mar Rosso è molto più vicino di quanto si pensi.

«Purtroppo», spiega, «ci stiamo rendendo conto in prima persona di cosa sta accadendo a Suez: lo scorso 14 dicembre due nostri container, prenotati per conto di un esportatore italiano, sono stati colpiti durante l’attacco della nave Al Jasrah. La verità è che la crisi abbiamo iniziato a vederla un mese fa, sia per quanto riguarda le materie prime che per i prodotti finiti. Il punto è che solo ora si sta prendendo consapevolezza dei contraccolpi economici».

Per Fiorini ora ci sono due grossi problemi: «Il primo è l’allungamento dei tempi di consegna che mediamente è già di oltre un mese. Potrebbe persino andare peggio se il Mediterraneo fosse tagliato fuori come si può ragionevolmente temere: già ci sono due colossi cinesi e coreani che hanno deciso di saltare l'Italia e andare a Rotterdam e Amburgo. In questo caso i 30 giorni diventeranno 60. Il secondo problema è che non ci saranno più container vuoti, nei porti italiani, necessari per l'export. C’è chi comincia ad adottare soluzioni di trasporto combinate, ad esempio tra nave e aereo, ma costano di più e i costi fatalmente vanno a colpire il consumatore».

Una situazione che inevitabilmente costringe le imprese a rivedere un modello di sviluppo basato sull’elevata frammentazione delle catene globali del valore. Tanto che il 37,4% delle aziende del Nord Est ha dovuto cambiare almeno un fornitore strategico negli ultimi due anni.

«Il fenomeno è in atto ma, nonostante sia un momento critico, non cambierà drasticamente», spiega Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est. «Quello che attualmente mi preoccupa maggiormente è il fatto che se la crisi dovesse aggravarsi perderemmo la nostra centralità nel Mediterraneo».

E a fine mese le imprese discuteranno proprio di questi temi in occasione della presentazione della terza edizione dell’Osservatorio Export di Confindustria Veneto Est, in collaborazione con Sace e Fondazione Nord Est.

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