La Crocco imballaggi resiste alla concorrenza asiatica e agli ostacoli delle norme Ue

Parla Renato Zelcher, amministratore delegato dell’azienda vicentina che ha registrato 140 milioni di ricavi. «L’energia è un fattore negativo ma sul settore pesa soprattutto la confusione dei regolamenti»

Federico Piazza
Renato Zelcher nello stabilimento della Crocco a Cornedo Vicentino
Renato Zelcher nello stabilimento della Crocco a Cornedo Vicentino

La concorrenza di prodotti extra Unione Europea, in particolare asiatica, che sta mettendo al tappeto l’industria della plastica del Vecchio Continente colpisce anche gli imballaggi plastici made in Italy, almeno per quanto riguarda i prodotti standard.

Questo, tuttavia, avviene in misura inferiore rispetto ai produttori di polimeri vergini e riciclati, che soffrono molto le importazioni che a basso prezzo. E meno anche di altre categorie di materie plastiche.

Spesso, infatti, le aziende italiane ed europee cercano per il loro packaging la personalizzazione dei prodotti e criteri elevati di qualità, con soluzioni che riducono la quantità di plastica a parità di prestazioni e certificazioni credibili sul contenuto di materiale riciclato.

E trovano in Europa le risposte migliori. Lo testimonia Renato Zelcher, amministratore delegato di Crocco, azienda vicentina da circa 140 milioni di euro di fatturato specializzata nella produzione di film per imballaggi flessibili.

Crocco serve clienti che spaziano dal settore alimentare e delle bevande al farmaceutico, dall’edilizia al vetro, dalla ceramica alla grande distribuzione, passando per logistica e trasporti.

Sono infatti moltissimi i settori che hanno bisogno di pellicole più o meno sottili per confezionare e movimentare le merci.

«Abbiamo cinque sedi operative tra Italia e Germania, con una quota di esportazioni del 40% diretta in circa 55 paesi, principalmente dell’Unione Europea. I ricavi per noi sono stabili – dichiara Zelcher – e quest’anno chiuderemo in linea con l’anno scorso. Ma certamente la concorrenza extra europea si fa sentire su alcune fasce di prodotti. Chi come noi punta molto su soluzioni ad hoc per i clienti mantiene comunque un vantaggio competitivo, perché distanze e tempi lunghi di consegna sono una barriera all’entrata per i concorrenti asiatici. Però dobbiamo stare attenti: oggi i mercati si evolvono molto rapidamente».

Zelcher è membro del consiglio direttivo di EuPC, la federazione europea dei trasformatori di materie plastiche, di cui in passato è stato presidente.

Il settore è molto variegato: in Europa conta 50 mila imprese con oltre 1,5 milioni di addetti e 250 miliardi di euro di fatturato complessivo, e spazia dagli imballaggi all’edilizia, dai mezzi di trasporto all’elettrico-elettronica, dagli articoli per la casa a quelli sportivi.

In Italia supera i 40 miliardi di ricavi annui (il 75% della filiera nazionale della plastica, secondo un rapporto Teha) e nel 2024 ha consumato 5,9 milioni di tonnellate di polimeri, di cui il 12% riciclati (secondo i dati elaborati da Plastic Consult).

«I costi alti dell’energia pesano anche nel nostro settore – osserva Zelcher – ma la sofferenza che vediamo oggi è legata anche alla confusione sul regolamento dell’Ue relativo agli imballaggi, che è molto complesso. È stata rafforzata la spinta al riuso, rispetto al riciclo su cui noi italiani siamo leader. Ma il riuso non si può applicare a tutti gli imballaggi. Sono infatti stati esentati film estensibili, cappucci elastici, cappucci termoretraibili e reggette impiegati nelle soluzioni di packaging che facilitano la movimentazione delle merci, come per esempio i fardelli delle bottiglie di acqua minerale, perché oggi non esistono alternative in grado di garantire i necessari benefici. Inoltre», conclude l’imprenditore, «le aziende che hanno fatto investimenti importanti per le loro linee di confezionamento dovrebbero cambiare tutto. Occorre quindi fare chiarezza, perché l’incertezza sui regolamenti non aiuta la programmazione degli investimenti industriali». —

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