Giulio Pedrollo, shopping negli Usa: «Una presenza strategica»

VERONA. «Un Covid deal» lo chiama Giulio Pedrollo, ad dell'omonimo gruppo familiare, realizzato, a causa delle restrizioni sugli spostamenti, in maniera digitale. Si tratta dell'acquisizione del gruppo scaligero attivo nel settore delle elettropompe del 70% dell'americana Superior Pump, effettuata tramite la Holding statunitense Pedrollo Group Inc. La società, con sede a Minneapolis nel Minnesota, è attiva nelle pompe idrauliche residenziali e commerciali ed ha una solida presenza diretta sul mercato americano.
Ingegner Pedrollo qual è il significato strategico di questa operazione americana?
«Nasce da una strategia a lungo tempo pensata. Non è più possibile in un mondo in cui la tendenza ormai e quella di concentrare e regionalizzare non avere una presenza diretta in un mercato come gli Stati Uniti. Noi vendiamo in circa 160 paesi, ma negli Usa non siamo mai riusciti a performare in una maniera opportuna. Con tale acquisizione questo diventa per noi il primo mercato, era all'ottantesimo posto prima. Avevamo bisogno proprio di un riposizionamento del mix paese clienti, anche per ragioni di contro bilanciamento, rispetto ad altri paesi che si sono via via resi un po' più turbolenti, come per esempio tutta l'area del Medio Oriente in cui il gruppo è sempre stato molto forte. Ovviamente questo è il punto di partenza, non di arrivo. Noi avevamo bisogno proprio di un'azienda, non solo dei muri fisici, ma del know how, di marketing, di assistenza post vendita».
Una decina di giorni fa De' Longhi ha acquistato un'azienda negli Usa. E nel recente passato ci sono stati Stevanato, Nice, Valbruna e molti altri esempi si potrebbero citare. Sta succedendo qualcosa o sono semplicemente delle coincidenze?
«È proprio la conferma di quello che dicevo: prima la regionalizzazione degli scambi, quindi della necessità di produrre nella piattaforma sulla quale si intende poi vendere. L'Europa è una piattaforma per le aziende europee, la Cina per quelle asiatiche, poi in realtà c'è anche l'India naturalmente da non sottovalutare. Io credo che il coronavirus anziché rallentare abbia invece accelerato questo tipo di processi. Ci siamo resi conto che certe produzioni strategiche non possiamo più permetterci di lasciarle fuori dai nostri ambiti territoriali. Pensiamo a quello cui abbiamo assistito con i respiratori polmonari o i sistemi di protezioni come le mascherine. La lezione che ne deriva è la necessità della presenza fisica nei luoghi in cui c'è il mercato. Nel nostro caso noi abbiamo proprio cercato con questa acquisizione la porta di ingresso per entrarci in questo mercato».
Una cosa simile l'ha fatta un suo collega veronese, Gian Luca Rana. Anche in quel caso una seconda generazione ha guidato in un mercato nuovo trasformando l'azienda.
«Si concordo effettivamente, io ho sempre detto a Gian Luca (Rana, ndr) che mi sarebbe piaciuto portare a portare a termine operazioni del genere e poi grazie alle capacità degli advisor e a Translink Corporate Finance siamo riusciti a farcela. Non è stato facile trovare il partner giusto. Mentre per Rana era necessario, per il loro tipo di produzioni, fare un'operazione greenfield per noi invece no. La seconda generazione che porta avanti queste operazioni rappresenta un processo di cambiamento e di sviluppo necessario per un gruppo che ha due alternative: o vende, e a questo noi avevamo già detto di no, o fa un'acquisizione che permetta un salto. Gli stessi advisor di Translink erano venuti da noi due anni fa per chiederci se volevamo vendere ad un'azienda cinese. E lì noi gli abbiamo detto no grazie e abbiamo rilanciato: trovateci un'azienda negli Stati Uniti. Ed è un passaggio notevole questo perché noi passiamo dai circa 210 milioni di ricavi ai 300 milioni di ricavi previsti nel 2021, un salto del 45% sul 2019».
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