Eataly a due velocità: a Verona sta chiudendo ma a Trieste cresce a ritmo accelerato

Nel Nord Est le due location dell’azienda stanno vivendo opposti destini. Il ristorante e punto vendita del capoluogo giuliano aumenta il fatturato al ritmo del 12% 

Edoardo Bus

A luglio Eataly di Verona chiuderà i battenti. A meno di tre anni dall’inaugurazione il tempio dell’alimentare lascerà uno spazio di ben 6 mila metri quadri, ristrutturati dalla proprietà con un investimento di 60 milioni, a Verona Sud dove una volta c’era la stazione frigorifera degli ex Magazzini generali.

L’annuncio del prossimo addio, che arriva in contemporanea con l’apertura del nuovo Eataly Caffè nel Rockefeller Center di New York, è un grave smacco per la città scaligera e bisogna interrogarsi sulle cause.

Eataly scrive: «Le previsioni relative allo sviluppo attrattivo dell’area in cui si trova il punto vendita non si sono verificate. Questa criticità, unita alle ingenti perdite operative del punto vendita, ha reso non più sostenibile la gestione del negozio, nonostante gli sforzi profusi».

C’è del vero. Da almeno 20 anni Verona Sud deve essere al centro di una riqualificazione urbanistica che non arriva mai, così Eataly ha finito per diventare una specie di cattedrale nel deserto, che si animava solo nelle affollate giornate di Fiera, molto vicina al punto vendita.

Nel “mancato sviluppo attrattivo dell’area”, si possono elencare almeno cinque casi.

La mancata realizzazione del Central Park, su cui il precedente sindaco Sboarina aveva impostato la campagna elettorale, sostenendo che un grande parco cittadino sarebbe sorto sull’ex scalo merci a Sud della stazione.

Oggi è tutto cancellato, il parco non si farà mai. L’area contigua a Eataly delle ex Cartiere di Verona, che doveva essere trasformata dall’attuale proprietà (Renato Brendolan e altri) in centro direzionale, commerciale e di svago, ma che da trenta anni è abbandonata a se stessa. L’ex manifattura Tabacchi, dove si doveva costruire per 37.400 mq.

Da allora non è accaduto nulla. Il mancato progetto del Museo di Vino, di cui si parla da quattro anni con progetti esecutivi, che doveva insediarsi nelle Gallerie Mercatali di proprietà di Verona Fiere, ad oggi è l’ennesima occasione persa da Verona.

Infine, i binari dell’alta velocità arriveranno in città solo tra 50 mesi, quando a lungo si è scritto che sarebbe accaduto entro il 2026 e che avrebbe comportato il “ribaltamento” della stazione di Porta Nuova, con l’ingresso principale rivolto proprio verso la Fiera e la zona di Eataly.

Insomma, la chiusura è il frutto di concause e di errori da parte di molti. Eataly ha peccato di eccesso di fiducia con il suo ex proprietario Oscar Farinetti, che ha richiesto una struttura “ad hoc”.

Invece, un attimo prima di aprire a Verona, ha ceduto la maggioranza (il 52%) al fondo Investindustrial di Andrea Bonomi e da lì in poi se n’è un po’ disinteressato, con due contratti di affitto diversi.

Il primo alla Investindustrial per la parte “business”, ovvero supermercato e ristorante, il secondo a Farinetti stesso per la gestione della “Eataly Art House”, che non è mai decollata.

Investindustrial ce l’ha messa tutta, assumendo 33 persone, facendo animazione e pubblicità per attirare clienti, ma la gestione non è stata brillante e la risposta non è arrivata.

Al contrario di Trieste, nell’altro punto vendita di Eataly a Nord Est.

Inaugurato nel 2017 in un edificio storico caro ai triestini, a duecento metri dalla centralissima Piazza Unità d’Italia, con un ampio parcheggio e un bel recupero architettonico, che comprende una grande vetrata vista mare e zone relax. Risultato, il pienone di cittadini, di turisti e di crocieristi, con carrelli colmi di delizie del “made in Italy”. Nel 2024 le vendite sono salite del 12% e da Eataly comunicano che in Italia «è il punto vendita che cresce di più anno su anno».

Fondazione Cariverona decise tanti anni fa quella di mettere a reddito il suo patrimonio immobiliare costituendo la “Verona Property”, oggi gestita dalla DeA Capital dei De Agostini e di Marco Drago, società leader negli investimenti alternativi, non certo un ente di beneficenza, tanto che imponeva a Eataly un affitto da ben 96 mila euro al mese, cioè lo stesso canone che dovrà pagare chiunque vorrà provare a rilevare la gestione dell’area.

L’attuale presidente della Fondazione Bruno Giordano promette un impegno anche personale per cercare di risolvere il problema, ma per il resto punta il dito verso la politica che «dovrebbe avere una visione strategica per lo sviluppo dei territori – dice – e invece ragiona quasi sempre con un’ottica di breve periodo».

L’attuale giunta guidata dal sindaco Tommasi ha provato a rispondere quest’anno con il Pat, Piano di Assetto del Territorio, che insiste sulla ristrutturazione urbanistica della Zai storica, ovvero la zona di Verona Sud. Ma nello stesso documento scrive: «Sembra venuta meno da qualche decennio una visione condivisa sulla città e sul suo sviluppo, capace di coalizzare risorse e presentare una nuova Verona intraprendente. Tra i motivi (…) la difficoltà delle classi dirigenti ad avere intenzioni progettuali alte e innovative, la scarsa propensione a fare rete degli attori urbani e la mancanza di un ruolo forte del Pubblico nel proporre visioni, catalizzando le progettualità sia pubbliche che private».

Così si conclude il tempo di Eataly a Verona, con i veronesi che ne parlano ma non sembrano curarsene. Lo considerano un luogo per ricchi e per turisti, scomodo e distante, anche se si affannano per trovare posto da “Adigeo”, centro commerciale più lontano della creatura di Farinetti, che intanto avvia l’apertura di quindici nuovi punti vendita tra Italia ed estero. —

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