Diversità, Welfare e una academy aziendale: Hera è uno dei migliori posti al mondo dove lavorare

La multiutility, presente nel Nordest con la controllata AcegasApsAmga, è stata inclusa per la seconda volta nel Bloomberg Gender-Equality Index, che prende in esame oltre 11mila imprese nel mondo e premia quelle che si distinguono maggiormente per la valorizzazione delle diversità. Per il dodicesimo anno consecutivo, inoltre, il gruppo Hera ha ricevuto la certificazione internazionale d’eccellenza Top Employer

PADOVA. Diversità e welfare aziendale: due aspetti al centro delle politiche di gestione del personale del gruppo Hera, premiato con due importanti riconoscimenti in questo senso. La multiutility – presente nel Nordest con la controllata AcegasApsAmga – di recente è stata inclusa per la seconda volta nel Bloomberg Gender-Equality Index, che prende in esame oltre 11mila imprese nel mondo e premia quelle che si distinguono maggiormente per la valorizzazione delle diversità.

Per il dodicesimo anno consecutivo, inoltre, il gruppo Hera ha ricevuto la certificazione internazionale d’eccellenza Top Employer per la gestione dei suoi oltre novemila dipendenti: a essere premiata è stata la strategia d’impresa, che pone da sempre grande attenzione alle risorse umane.

“Questi due riconoscimenti hanno le loro specificità, ma quello che li accomuna è un lavoro che parte da molto lontano”, sottolinea Marcello Rita, responsabile delle risorse umane di AcegasApsAmga. “Il premio TopEmployer, che ci vede nei fatti come uno dei migliori posti in cui lavorare, fa leva sulle politiche messe in atto dall’azienda, ad esempio per il welfare”.

Hera offre infatti ai suoi dipendenti un piano integrato di welfare aziendale chiamato Hextra, che ha visto un investimento di 4,5 milioni di euro solo nel 2020. “Sulla piattaforma di welfare aziendale le possono scegliere come usare le risorse destinate dall’azienda, dalla previdenza integrativa all’assistenza sanitaria fino ai buoni acquisto su Amazon, o ai buoni per l’acquisto dei libri per chi ha figli a scuola”.

Senza dimenticare la formazione: “Ogni dipendente può scegliere di seguire dei corsi, anche differenti da quelli che l’azienda eroga, pagando con le quote aggiuntive previste dalla piattaforma questi corsi esterni. È sicuramente un modo per consentire alle persone di avere un buon bilanciamento tra vita personale e lavoro”, osserva Rita. Tra queste attività la formazione riveste un ruolo centrale per Hera, che come spiega il manager è stata “tra i primi gruppi in Italia ad avere un’academy, un centro di formazione interna che si occupasse a 360° di tutto ciò che riguarda la formazione professionale, sia per la formazione tecnica sia per le soft skill. La presenza di un polo di formazione centrale permette di avere addetti sul territorio sempre aggiornati e una gestione delle relazioni al passo con i tempi”.

Inoltre, “tramite l’academy andiamo a erogare iniziative formative al territorio, organizzando ad esempio con le scuole visite guidate ai nostri impianti. Questa parte si chiama Hera Educational”. Con l’ingresso nell’indice dedicato di Bloomberg Hera ha invece visto premiato il suo impegno in favore delle diversità.

“Questo riconoscimento arriva a sancire nei fatti una politica in questo senso molto consolidata. Già negli anni scorsi avevamo un diversity manager, un’attenzione alle diverse peculiarità, sia per quanto riguarda il genere sia per la disabilità”, racconta Rita. “L’inserimento nel Gender Equality Index riconosce l’impegno dell’azienda con provvedimenti come l’annullamento del gap retributivo, che nel gruppo di fatto non c’è”.

L’obiettivo è “creare un contesto aziendale in cui le persone si sentano tranquille di poter lavorare nel rispetto delle loro peculiarità, di genere e non solo. Dopo un po’ diventa il modo normale di ragionare. E a noi fa piacere che questo tipo di impegno venga riconosciuto, perché ci conferma che la direzione è giusta”. Le politiche di gestione del personale sono state centrali nella strategia con cui Hera ha gestito l’emergenza sanitaria: già dal 2017 il gruppo aveva avviato un piano di smartworking, sul quale sono state poste le basi per affrontare la fase più critica. “La prima cosa di cui ci siamo dovuti occupare, non potendo e non volendo interrompere il servizio, è stata la sicurezza delle persone e degli utenti”, fa sapere Rita.

“Immediatamente, prima ancora di avere contagi, abbiamo aggiornato il documento di valutazione dei rischi. Questo è stato il punto di partenza, da cui abbiamo implementato una serie di misure che ci ha consentito di garantire la continuità dei servizi: abbiamo avuto infatti pochissimi contagi”. Nonostante il gruppo fosse già abituato all’idea del lavoro agile, la transizione non è stata semplice.

“Non nego che c’era una certa preoccupazione per il passaggio, almeno per una parte di lavoratori, da una vita in presenza a una vita virtuale del tutto telematica. Così ci siamo occupati di come gestire questa nuova modalità di lavoro, creando canali che prima non avevamo: abbiamo messo in campo una sorta di centralino a cui nei primi giorni di emergenza le persone potevano scrivere per chiedere informazioni utili. In quel momento l’aspetto psicologico, più che quello sanitario, era molto pregnante, e come azienda si è tentato di dare una risposta completa, psicologica e non solo operativa”.

Sotto questo fronte, sottolinea Rita, “abbiamo poi deciso di attivare una valutazione ulteriore sullo stress lavoro-correlato, con interviste ai lavoratori su come si stessero sentendo e sulle misure da adottare”. In pandemia Hera ha deciso di aprire “canali di comunicazione come questo per creare consapevolezza sul fatto che i rapporti dovevano cambiare, dovevano intensificarsi, dire ai responsabili che ogni mattina sentissero le loro persone, anche solo per 10 minuti. Cercare di stare vicini come quando ci si incontrava alla macchinetta del caffè”.

Per il manager “l’aspetto determinante è stato quello di riuscire a focalizzarsi sul fatto che il servizio alle città doveva e deve essere garantito. Abbiamo dovuto aumentare il livello di consapevolezza rispetto a questo elemento e le nostre persone hanno voluto per prime garantire il servizio”.

Un cambio di mentalità destinato a restare anche nel post pandemia. “Il nostro gruppo praticava già lo smartworking, ma anche chi lavora sul campo porterà con sé questa diversa consapevolezza. Abbiamo fatto un salto in avanti di cinque anni”.

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