Cimolai fa causa alle banche, per le operazioni sui derivati

Cimolai va all’attacco e fa causa alle banche sui derivati. L’azienda pordenonese, leader nella progettazione e costruzione di grandi opere in acciaio, dopo aver avviato l’iter della procedura concordataria presso il tribunale di Trieste - percorso obbligato per evitare il fallimento a causa di una pesante crisi finanziaria causata da alcune operazioni in derivati a copertura del rischio di cambio valutario - ha deciso di impugnare quei contratti sottoscritti dal Cfo (poi licenziato).
Della mossa dell’impresa ha riferito ieri Bloomberg che ricorda il valore in gioco - circa 500 milioni di euro - che sono oggi oggetto di una «ristrutturazione giudiziaria».
Nella vertenza la controparte è JB Drax Honore, il broker, leader nel settore, che secondo Cimolai avrebbe effettuato la vendita di alcuni dei derivati sulle valute in modo errato. A sostegno della propria tesi, Cimolai avrebbe depositato molti documenti.
Entrando nel dettaglio sono una ventina i soggetti coinvolti tra istituti di credito e broker, si tratta di Macquarie Bank, per 49,5 milioni di euro; Deutsche Bank per 19,5, JB Drax per 13,3 milioni, Ballinger & Co. per 12,6, Natwest per 11,5 milioni, AFEX Markets Europe Limited (Corpay) per una cifra di 11,3 milioni, Ebury Partners Belgium per 10,6 milioni, Corner Banca per 9,1 milioni, Alpha FX Europe per 7,1, Natixis per 6,9, Intesa Sanpaolo per 5,7 milioni, Morgan Stanley per 5,3, GPS Capital Markets per 3,9, Western Union International Bank per 2,8, BPM per 2,5, Banca Nazionale del Lavoro per 2,3, Hamilton Court FX per 2,2 milioni, Global Reach per 1,1 milioni, Mediobanca per 986 mila euro, Banca Monte dei Paschi di Siena per 706 mila euro; e infine Argentex Group 678 mila euro.
Vale la pena ricordare che diversi tra questi soggetti avevano a loro volta chiamato in causa Cimolai davanti al tribunale di Londra, e questo dopo che la Spa aveva sospeso di fatto - nell’autunno scorso - quei contratti, di cui solo allora sarebbe venuta a conoscenza, non ripristinando il cosiddetto “margin call”, ossia il margine di garanzia fisico, man mano che il valore dell’euro si allontanava dal livello target previsto nel contratto. E non avrebbe nemmeno pagato quando previsto in caso di risoluzione degli stessi contratti.
Ora la decisione dell’azienda pordenonese di rispondere per via giudiziaria potrebbe spingere banche e broker a sedersi ad un tavolo per ricercare una possibile mediazione.
Rispetto alla richiesta di ammissione alla procedura concorsuale, si attende ancora di conoscere la decisione del tribunale delle imprese di Trieste.
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