Il commissario Ue Phil Hogan: "Contraffazione: l'Ue è con l'Italia"

Difendere le specificità tipiche dei Paesi comunitari, supportare, in primis economicamente, lo sviluppo dei prodotti agricoli europei e combattere il fenomeno dell’abbandono delle campagne. Tre obiettivi che racchiudono, pur non completandone il paniere, gli obiettivi dell’irlandese Phil Hogan, Commissario europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, nell’azione dell’Ue nei prossimi anni.
Commissario, quali sono gli obiettivi principali della Politica agricola comune da qui al 2020?
«Gli stessi del passato: aiutare gli agricoltori europei, e i produttori di generi alimentari a più ampio spettro. Nei prossimi anni, poi, vogliamo mantenere uno standard qualitativo di vita soddisfacente per gli agricoltori e per le comunità rurali, incoraggiando i lavoratori a continuare a coltivare la terra e a vivere nelle campagne. Anche perché, ne sono convinto, rappresentano un mezzo privilegiato per la creazione di posti di lavoro, per la crescita economica comunitaria e per la tutela dell’ambiente».
Nonostante gli interventi europei, il settore dell’allevamento lattiero caseario è ancora in grande sofferenza. Come lo si può difendere, specialmente in Italia dove, tendenzialmente, le aziende sono medio-piccole?
«La Ue garantisce un supporto significativo al settore lattiero caseario italiano ogni anno e negli ultimi 24 mesi il vostro Paese ha ottenuto stanziamenti extra, e significativi, grazie ai progetti di sostegno straordinari. Ad esempio 25 milioni di euro sono stati concessi per aiutare gli agricoltori a combattere la crisi del settore e altri 21, su 350 in totale, sono arrivati a Roma grazie ai pacchetti straordinari dell’ultimo anno, molti dei quali sono stati investiti proprio nel lattiero caseario. È anche importante sottolineare come circa il 60% del latte italiano venga trasformato in formaggio e il settore, in Italia, stia beneficiando di un particolare valore aggiunto. Basti pensare, ad esempio, che il prezzo del latte in Italia continua a essere di circa l’11% più elevato rispetto alla media europea registrata negli ultimi 5 anni».
Non si può fare di più?
«In linea generale credo che la politica migliore che l’Ue possa realizzare per aiutare gli agricoltori sia quella di renderli più flessibili ed elastici. E la flessibilità non è un lusso che possono permettersi soltanto le grandi aziende. Esistono buoni esempi di quello che sto sostenendo anche in Italia. Penso ad alcuni produttori di Asiago, Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano, quindi marchi Dop, che si stanno muovendo con sagacia regolando i meccanismi di domanda e offerta per stabilizzare i prezzi. Ma c’è dell’altro».
Prego...
«Un’altra opzione per i produttori di latte è quella avere rapporti più stretti con le aziende trasformatrici per strappare un maggiore potere contrattuale. Lo so che una quota molto importante del latte italiano, circa il 70%, viene trasformato attraverso le cooperative, ma rivolgersi ad aziende private permetterebbe di ottenere una serie di benefit derivanti proprio dall’essere parte integrante del processo».
Le multinazionali americane sfidano i prodotti tipici puntando a occupare la loro fascia di mercato. Un esempio è l’etichetta “semaforo” che all’Italia non piace. Lei cosa ne pensa?
«La legislazione europea è strutturata per assicurare un alto livello di protezione per il consumatore così come una corretta informazione sui prodotti. Gli Stati membri, però, devono varare leggi in grado di raggiungere gli obiettivi di tutela che l’Ue si prefigge da tempo. La Commissione deve assicurarsi che lo sviluppo di determinati schemi, come l’etichetta “semaforo”, sia compatibile con le regole del mercato interno e non produca eccessiva frammentazione».
I produttori italiani accusano l’Ue di agevolare le importazioni da Paesi extracomunitari, come Turchia o Israele. Che cosa risponde?
«I prodotti agroalimentari italiani beneficiano del sistema di libero scambio, promosso dall’Ue, del Wto in particolare per quanto riguarda l’esportazione di vino, pasta, olio d’oliva, frutta, verdure e formaggi, mentre le importazioni si concentrano su frutti tropicali, noccioline, caffè, olio di palma e cibo per animali. Va rimarcato, inoltre, come la bilancia commerciale italiana, nel settore dell’agroalimentare, con i Paesi extra-Ue sia in attivo. E non da quest’anno, bensì dal 2012. È vero che l’Unione importa alcuni prodotti da Israele e Turchia i quali, a volte, possono diventare concorrenti di quelli italiani, ma facilita le esportazioni in mercati importanti per il vostro Paese. Penso agli Stati Uniti, alla Svizzera, o ai mercati emergenti in Asia e in America Latina. Senza dimenticare che molti prodotti comunitari, in particolare provenienti dall’Italia, sono protetti e difesi in Stati terzi grazie agli accordi di scambio stretti direttamente dall’Ue».
Un’ultima domanda: come si combatte il fenomeno del cosiddetto “Italian sound”?
«Molti tra i prodotti italiani più conosciuti, dal Prosecco al Chianti passando per il Calvados, sono protetti dalle leggi comunitarie. Anzi, l’Italia può vantare il numero maggiore di produzioni tutelate di tutti gli altri Paesi dell’Ue. In linea generale, poi, direi che assicurare pratiche eque nel commercio alimentare e un sistema di etichettature chiaro sono temi chiave all’ordine del giorno della Commissione. Allo stesso tempo, inoltre, siamo costantemente impegnati nel cercare di contrastare e ridurre l’offerta di prodotti contraffatti di ogni tipo, compresi quelli agroalimentari e la loro vendita attraverso internet».
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