Il boom di stufe e caminetti e il caro-pellet: i motivi e come l’Italia si attrezza per frenare l’impennata
Come utilizzare al meglio, in modo sostenibile ed economico la risorsa legnosa: una delle cartine al tornasole delle complicazioni in atto, per usare un eufemismo, è proprio l’andamento del pellet

C’è un fatto, che a pensarci bene non è poi per niente strano, collaterale alle crisi che stiamo vivendo. Ovvero, l’aumento del prezzo del gas e i timori per il taglio delle forniture hanno determinato negli ultimi mesi un aumento delle vendite di stufe e caminetti a legna e pellet in Italia e in altri Paesi europei.
Affrontiamo il tema perché in questi giorni si parlerà molto di alberi, dato che LongaroneFiere diverrà il fulcro nazionale del dibattito forestale, presente tutto il mondo della filiera foresta-legno-energia, anche il Ministro. Un comparto che per solo il settore legno-arredo conta oltre 45.000 addetti, 7.000 imprese per un fatturato che supera i 6,7 miliardi. Questo perché a Longarone (BL) si terrà (9-11 settembre) la quarta edizione di Fiera & Festival delle Foreste con in contemporanea l’evento di macchine di gestione forestale BosterNordEst.

L’oggetto, quindi, è come utilizzare al meglio, in modo sostenibile ed economico la risorsa legnosa presente in Italia; ed una delle cartine al tornasole delle complicazioni in atto, per usare un eufemismo, è proprio l’andamento del pellet.
Secondo i primi dati disponibili del 2022 raccolti tra le aziende associate di AIEL, l’Associazione italiana energia agroforestali che ha sede a Legnaro (PD), le stime indicano un aumento totale delle vendite di stufe del +28% a maggio rispetto ai primi 5 mesi del 2021, con una crescita del mercato interno del 8,7%. Maggiormente significativo poi l’aumento delle vendite verso l’estero che, rispetto ai primi 5 mesi del 2021, ha registrato un +40%, per un totale di 121.102 apparecchi esportati tra gennaio e maggio 2022, con una netta prevalenza di quelli a pellet (104.398, +37,3%) rispetto alla legna, che risulta comunque in crescita del +60,8%.

La guerra in Ucraina, l’embargo su Russia e Bielorussia - che per noi conta circa il 10%, la dipendenza dell’Italia dagli approvvigionamenti esteri e una domanda ancora molto sostenuta - spiega Annalisa Paniz, Direttrice di AIEL - motivano il rialzo del prezzo del pellet di quest’anno. A livello europeo, l'interruzione dell’approvvigionamento da Russia, Bielorussia e Ucraina ha creato una carenza complessiva stimata in circa 3 milioni di tonnellate di pellet. Allo stesso tempo, nazioni come Regno Unito, Paesi baltici e dell’Europa centro-settentrionale, che si rifornivano di più proprio da Russia e Bielorussia, hanno ovviamente ridotto le proprie esportazioni, e i flussi d’export residui hanno subìto repentini rialzi di prezzo.
- Ragionamento che vale anche per il settore industriale?
Certo, perché lo shock nei prezzi dell’energia ha spinto le grandi centrali a biomasse nord-europee per la produzione elettrica e cogenerazione ad aumentare la produzione da fonti alternative, anche pellet, pagandolo prezzi molto elevati, comunque convenienti rispetto ad altre opzioni. E poi, come sempre in questi casi, c’è il nervosismo del mercato e dei consumatori che tendono all’accaparramento.
- Si va verso le stagioni fredde, un consiglio?
È utile che i consumatori continuino a pianificare oculatamente e preventivamente i propri acquisti insieme ai rivenditori di fiducia, in modo da non concentrare gli acquisti nel solo periodo invernale.
- Quali perciò le prospettive dell’energia da pellet?
Tutte le associazioni europee concordano sul fatto che il mercato europeo del pellet aumenterà i propri livelli produttivi, ma avrà bisogno di tempo. È prevista per il 2023 l’inaugurazione di 11 nuovi impianti in Austria; la Francia potrebbe raddoppiare entro il 2028; anche in Italia registriamo interesse per l’insediamento di nuovi impianti locali di produzione di pellet.
- Dr.ssa Paniz, ma servono alberi per produrre il pellet!
L’Italia è il secondo paese in Europa per copertura forestale che rappresenta circa il 36% del territorio. Nonostante ciò, l’80% del fabbisogno nazionale di legno è basato sull’import. Servono filiere energetiche locali per sostenere la crescita economica dei territori, cioè un migliore impiego della risorsa boschiva e un maggior ricorso all’utilizzo forestale che, come stabilisce la Strategia Forestale Nazionale, deve passare dall’attuale 15% al 30% del soprassuolo boscato. Il che permetterà anche di disporre di maggior legno di alta qualità per costruzioni e arredo e far crescere la quota interna di scarti e sottoprodotti per produrre pellet, cippato e legna da ardere. È tempo quindi di adottare delle iniziative a sostegno delle biomasse e della filiera legno energia ad esse collegata.

- Il vicentino Giustino Mezzalira, Presidente di ANARF, l’Associazione nazionale attività regionali forestali, su questo, ovvero la necessità di avere più alberi, ha idee precise. Nelle conclusioni dell’ultima COP26 dello scorso novembre, quella di Glasgow, c’è l’impegno di piantare 1000 miliardi di alberi entro il 2030. Ambiziosissimo target, circa 120 per ogni essere umano. Ma anche se ne mettessimo a dimora uno per ogni veneto dovremmo produrre circa 5 milioni di piantine. Un obiettivo non semplice che chiede tempo. Come fare? La risposta si chiama agroforestazione, un connubio sempre esistito nella pianura padana fino all’arrivo dell’industrializzazione moderna, che vede agricoltura e alberi convivere in una sana e produttiva ottica mutualistica, condivisa convintamente anche dalle organizzazioni professionali agricole.
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