Giovanni Dolcetta sulle prospettive dell’export: preoccupano viaggi, filiere estere e container
Nel primo trimestre 2021 Vicenza si conferma la seconda provincia italiana per export dopo Milano. «Quanto accaduto con la pandemia ha avuto un tale impatto anche sull’economia che ci obbliga a ripensare a come fare business internazionale»

VICENZA. Nel primo trimestre 2021 Vicenza si conferma la seconda provincia italiana per export dopo Milano. Valore 4,4 miliardi di euro nei primi tre mesi dell’anno, con una crescita tendenziale del 4,7% sul 2020 e del 3,3% sul 2019. Primeggiano metalmeccanica (46,2% dell’export vicentino) e sistema moda (31,3%), seguiti da sistema casa, chimica e agroalimentare. L’Europa (EU ed extra EU) è di gran lunga la prima area di destinazione: ben oltre la metà delle esportazioni sono nel Vecchio Continente, primi due paesi Germania (11,9%) e Francia (9%). Terzo mercato gli Stati Uniti (8,7%). Ma il secondo trimestre si prospetta meno positivo, con tre grandi motivi di preoccupazione. Lo evidenzia Giovanni Dolcetta, vice presidente di Confindustria Vicenza con delega all’internazionalizzazione delle imprese.
Cosa preoccupa le imprese?
«Ci sono tre questioni che hanno effetto diretto sull’export: la perdurante incertezza sugli spostamenti internazionali in varie parti del mondo, i rincari e la scarsa disponibilità di materie prime e semilavorati, i costi alle stelle e l’incertezza nei tempi del trasporto merci marittimo. Problemi comuni a livello non solo locale ed europeo ma globale. Temi per il G20».
Questione viaggi all’estero: il Green Pass non dovrebbe semplificare?
«Sì ma ci sono problemi in Paesi strategici come Stati Uniti e Cina, mercati importanti sia per l’export sia perché molte nostre imprese vi hanno anche unità produttive. Sappiamo che il Green Pass europeo sarà esteso agli Stati Uniti ma non è scontato che sarà tutto lineare, perché ci sono delle questioni tecniche: le autorità sanitarie statunitensi non riconoscono infatti tutti i vaccini autorizzati in Europa (AstraZeneca non è approvato in USA). Magari la questione con gli americani si risolverà facilmente, ma ad oggi non c’è chiarezza. In Cina invece ci si può andare solo con voli diretti senza scali. Fino a poco tempo fa c’era un solo volo diretto da Malpensa alla settimana, ultimamente sono un po’ aumentati ma sono ancora troppo pochi. Poi in Paesi come il Qatar formalmente non c’è alcun divieto, ma rilasciano visti business molto lentamente. E ci sono Paesi con periodi di quarantena molto lunghi, che di fatto rendono queste trasferte di lavoro non fattibili perché non è sostenibile dover passare due settimane in isolamento in albergo dopo l’arrivo e fare anche una quarantena al ritorno in Italia».
Questione approvvigionamenti?
«Il problema delle materie prime è trasversale: per esempio il prezzo dell’acciaio aumentato a dismisura in pochi mesi riguarda tutti. Mentre quello dei semilavorati tipo i microchip sta colpendo molto duro alcuni settori in particolare. Un intervento almeno parziale in Europa si potrebbe fare sui contratti pubblici, imponendo ai committenti pubblici un adeguamento prezzi quando le variazioni dei costi delle forniture superano una certa soglia e raggiungono livelli anormali come sta accadendo in questo periodo. E studiare qualcosa anche sulle committenze private, in maniera che questo problema dei rincari non ricada solo sulle spalle delle aziende».
Questione trasporto merci?
«I container navali sono diventati estremamente costosi, con aumenti esorbitanti. Il costo di un container per spedizioni in Asia oggi può essere minimo tre volte superiore a quello che era. E come se non bastasse, gli spedizionieri non garantiscono le date!»

Che cosa implicano queste questioni?
«Quanto accaduto con la pandemia ha avuto un tale impatto anche sull’economia che ci obbliga a ripensare a come fare business internazionale. Implica un ridisegno delle supply chain, perché alcuni settori si basavano quasi esclusivamente sulla produzione o sull’acquisto di semilavorati in Cina. Riusciremo ad avere delle filiere locali più diffuse e più corte nelle varie aree di mercato con meno impatti sui trasporti e più vicinanza ai clienti? Essere più presenti direttamente in tanti mercati magari con strutture piccole? Sono processi che impiegano anni e servono politiche che li favoriscano».
E il reshoring?
«Ci sono stati casi di aziende che hanno riportato completamente a casa la produzione. Ma dipende dai settori, perché per esempio nell’automotive i grandi player hanno una presenza internazionale globale e chiedono anche ai fornitori di essere presenti globalmente. Quindi il reshoring è molto difficile. Anche se ci sono degli esempi come la Ferrari che produce tutti i suoi modelli nell’unico stabilimento di Maranello, quindi anche con una maggiore semplicità di gestione, e li vende in tutto il mondo. Produrre tutto in Italia può andare bene per alcune aziende che sono in nicchie di mercato che sono state bravissime a sviluppare e mantenere. Ma per altre aziende che fanno commodity l’impatto sui costi di una produzione completamente localizzata in Italia per tutti i mercati sarebbe molto forte».
In quali mercati extra UE andranno di più le imprese?
«Negli Stati Uniti, dove il quadro di riferimento e più semplice e più simile al nostro, e dove è quindi più facile fare investimenti. In Messico, che sta diventando sempre più importante per tanti settori come oil&gas e automotive, e dove può essere importante produrre anche per gli Stati Uniti. E non dimentichiamo il Brasile, hub importante per il Sudamerica, dove grandi aziende italiane sono da tempo presenti. Perché lo sviluppo dei mercati dipende anche dalla presenza delle nostre grandi imprese, che dovranno essere sempre più presenti dappertutto, e che traineranno le aziende più piccole loro fornitrici».
Russia e India?
«Sono due mercati potenzialmente molto interessanti, ma complicati. L’India poi con delle differenze culturali che comportano su certi aspetti anche delle difficoltà di relazioni. Certo l’India è importante per alcuni settori come oreficeria, meccanica, tecnologie agroalimentari, e anche per servizi e delocalizzazioni in ambito IT perché vi si trova personale altamente specializzato nell’informatica».
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