Da Antonveneta alle popolari, un filo lega Siena al Nord Est

L’acquisto per 9 miliardi della banca padovana nel 2007 è all’origine dei problemi che portarono l’istituto al tracollo. Successivamente la liquidazione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza fu decisiva per il nuovo salvataggio

Giorgio Barbieri

 

Dalla disastrosa acquisizione di Antonveneta alla conquista del santuario della finanza italiana. Per il Monte dei Paschi di Siena sono stati vent’anni sulle montagne russe, sempre sull’orlo del precipizio, per evitare il quale lo Stato è stato costretto a iniettare continuamente denaro pubblico, dodici miliardi di euro secondo le ultime stime di Unimpresa. E dove il ministero dell’Economia è primo azionista dell’istituto, anche se ancora per pochi giorni, pilotando insieme al costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e a Francesco Milleri, al timone della finanziaria della famiglia Del Vecchio, l’ingresso trionfale di Rocca Salimbeni in Mediobanca.

Un lungo percorso che ha visto i destini della banca che si considera più antica del modo intrecciarsi con la finanza del Nord Est, fino al sacrificio sull’altare di Siena delle due popolari venete nel 2017.

Nel 2005 Antonveneta diventa il centro di una delle battaglie bancarie più accese in Italia e in Europa. Da un lato l’olandese Abn Amro, dall’altro i “furbetti del quartierino” guidati da Gianpiero Fiorani e sponsorizzati da Antonio Fazio, all’epoca governatore della Banca d’Italia. Alla fine la spunteranno gli olandesi che appena due anni dopo verranno smembrati da una cordata guidata da Santander e Royal Bank of Scotland. Nel pacchetto finisce anche Antonveneta, che passa momentaneamente a Santander per circa 7 miliardi.

Ma l’8 novembre 2007 il Monte dei Paschi di Siena guidato da Giuseppe Mussari annuncia il secondo colpo di scena con l’acquisizione di Antonveneta per oltre 9 miliardi di euro. Il prezzo pagato però è altissimo: circa il 32% in più rispetto al valore reale. L’operazione si rivelerà presto un macigno che costringerà la banca senese a ricorrere a continui aumenti di capitale che, in contemporanea alla crisi dei subprime e al crollo di Lehman Brothers nel 2008, diventeranno un peso insostenibile. Il Monte dei Paschi è però ormai diventata una banca sistemica, troppo grande per fallire, troppo fragile per salvarsi da sola. E i diversi governi sono così costretti a iniettare soldi pubblici per tenerla in piedi, a partire dai cosiddetti “Monti Bond”, quasi 4 miliardi di euro di obbligazioni emesse dallo Stato per rafforzare il patrimonio di Mps.

Le sorti di Siena tornano quindi a intrecciarsi con il Nord Est nel 2017, quando Popolare di Vicenza e Veneto Banca cercano con grande fatica una via di salvezza tramite il fondo Atlante. Ma per Roma la priorità resta Mps, per il quale però non c’è denaro fino a quando le due popolari venete non verranno liquidate. Si arriva così a giugno quando il governo approva un decreto che avvia la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Le “parti buone” passano a Intesa Sanpaolo per un euro simbolico, ma con un massiccio sostegno pubblico: 4,8 miliardi di fondi diretti, 400 milioni di garanzie e fino a 12 miliardi di copertura statale per i crediti deteriorati. L’operazione permette anche al fondo Atlante, liberato dagli impegni sulle due venete, di concentrare 1,65 miliardi sullo smaltimento dei 26 miliardi di sofferenze di Mps. Così lo Stato può entrare nel capitale di Rocca Salimbeni con una quota del 70%, completando il salvataggio della banca.

Il maxi-acquisto del 2007 e il successivo salvataggio di Mps hanno quindi cambiato per sempre la geografia del credito anche a Nord Est, dove il passaggio di mano di Antonveneta e successivamente la liquidazione di Veneto Banca e Popolare di Vicenza hanno privato il territorio di poli finanziari storici, mentre miliardi di risorse pubbliche sono confluite sul Monte dei Paschi.

Ora l’istituto senese non è più il grande malato, ma intende invece giocare il ruolo di pivot nel riassetto del sistema finanziario italiano pensato e voluto dal governo Meloni. Di cui la conquista di Mediobanca rappresenta il primo passo, per provare poi a muoversi verso Trieste e dare l’assalto all’altro santuario della finanza italiana ed europea: le assicurazioni Generali. ​​​​

 

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