Dopo l'uscita di Alessandro Benetton, in bilico c'è pure l'ad Airoldi

TREVISO. Anche il più resistente filo di lana, a forza di essere tirato, alla fine si spezza. E in questi giorni si è spezzato il filo che tiene insieme la famiglia Benetton, da mezzo secolo e più. Perché le dimissioni di Alessandro dal consiglio di amministrazione della azienda che porta il cognome trevigiano, avvengono in sintonia con il padre Luciano e dunque in collisione con gli altri tre fratelli di questo, co-fondatori dell'impero. Quale sia l’esito di questa parabola è difficile da dire, ma di sicuro avviene alla vigilia di un passaggio delicatissimo: un passaggio che contiene un cambio di guida al vertice del gruppo e, non di meno, un programma di ristrutturazione per United Colors. Era il 24 aprile 2012 quando Alessandro, delfino di Luciano e già suo vicepresidente, all'età di 48 anni prendeva le redini dell'azienda fondata dal padre, la United Colors.
Abbracci sotto i riflettori assembleari, passaggio di rito del testimone e mission precisa: accompagnare la fase decisiva della transizione dell'azienda famosa al mondo per i suoi maglioni colorati. Alle spalle il delisting con l'uscita dalla Borsa, davanti il grande onere del rilancio e anche del passaggio da una gestione imprenditoriale a una manageriale. In mezzo la dismissione dei marchi minori, la ridefinizione del perimetro con la chiusura dei negozi, l'uscita del marchio da 60 dei 120 mercati.
Ma Alessandro non riesce neanche a finire il mandato triennale e il 9 maggio 2014 lascia la carica per tornare alla sua creatura la "21 Investimenti", approvando il bilancio 2013 in rosso di 199 milioni rispetto l'utile di 24 milioni del 2012. Arriva al suo posto Gianni Mion, il manager per eccellenza della famiglia di Ponzano. Al timone gestionale invece, come stabilito da poche settimane (il 18 aprile 2014) entra quasi in contemporanea Marco Airoldi, tutt'oggi ceo della Benetton group. Manager voluto da Gilberto Benetton e da Mion stesso, per ristrutturare l'azienda. Il piano in mano ad Airoldi lo scrivono i consulenti della Boston Consulting (di cui era partner lo stesso Airoldi). Il piano si fonda sulla divisione in tre del business storico e tessile. Con il 2014 nascono tre società distinte per il settore commerciale, industriale e immobiliare.
Ma United Colors soffre e i risultati sperati non arrivano: nel 2015 nella galassia di Edizione l'abbigliamento è l'unico asset in difficoltà e registra una perdita di 46 milioni. «Nel 2015 sono state poste le basi per l'evoluzione futura dell'azienda» si legge nei documenti di bilancio.
Ma la vecchia formula fatica a stare al passo con i colossi della fast fashion imperante e ora, stando ai rumor e alla voce dei sindacati, anche la figura di Marco Airoldi è in discussione e forse prossima all'uscita. Il 13 dicembre a Ponzano è infatti convocato un Cda per la cooptazione di un manager esperto del settore tessile e abbigliamento, spiegano le nostre fonti autorevoli. E i malevoli pensano proprio che la new entry sarà al posto di Airoldi. Il nuovo manager, peraltro, subentra sulla poltrona lasciata libera da Alessandro Benetton, posto che nessuno del ramo di Luciano intende occupare. Pare insomma destinato a concludersi pure il triennio firmato da Airoldi: i Benetton sono abbastanza avvezzi al turnover rapidi dei manager, eccezione fatta per Mion stesso (in uscita oggi per il nuovo ruolo ai vertici di Bpvi) e per Aldo Palmieri, storico consigliere delegato Benetton dal 1982 al 1990 e dal ’92 al ’95. Da capire quale strategia potrà interpretare il prossimo vertice di Benetton Group, quale che sia il top manager che affiancherà il presidente Gori.
Rimane pendente in particolare la ricerca di un partner industriale e societario, come previsto pure dal piano siglato da Bcg, posto che le proposte sinora pervenute sono state ritenute semplicemente irricevibili (nel senso che la valutazione del gruppo è stata considerata eccessivamente penalizzante). E ora, dato che il rilancio del business continua a tardare - nonostante un piano denso di investimenti, l'ultimo per le tecnologie e la nuova collezione di maglioni senza cuciture e 130 grammi di peso - pare non ci siano più alternative e che sia alle porte una ristrutturazione profonda, che coinvolgerà l'assetto produttivo con gli 8 mila dipendenti del Gruppo.
Ma è questa l'unica strada possibile? Alessandro non ne era convinto e così ha deciso di andarsene e di marcare la distanza da una gestione che non condivide. La mossa ha fatto rumore ma ha un sostenitore oggi silente: il padre Luciano, che come detto non sostituirà il figlio in Cda con un altro componente del proprio ramo familiare. Insomma se non ci sarà Alessandro, non ci sarà nessun altro per quel 25% di famiglia. Una mossa decisa e una distinzione netta dal corso che Gilberto Benetton e Gianni Mion hanno impresso a United Colors. Le dinamiche familiari di casa a Ponzano sono complesse ma oggi è ancora più complicato il business tessile. Aver enucleato in una società distinta tutte le proprietà immobiliari ha proiettato ai raggi x il reale valore del prodotto industriale. Il business model non funziona e urge una svolta, capace di andare oltre la capsule collection presentata ieri da Stella Jean a Milano.
Insomma, Benetton deve trovare la sua formula, oltre la lunga e importante storia perché i competitor - che si chiamano soprattutto Zara ed H&M - sono grandi e consolidati, veloci e allineati al mercato, alle esigenze delle clienti e soprattutto retailer, ormai, di professione.
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