Do you speak China? Dopo i pionieri, i nuovi Marco Polo

VENEZIA. La Nutella non vende in a Pechino. Eppure, la Cina è il più grande mercato per i Ferrero Rocher che sono divenuti il prodotto più ricercato per i matrimoni. In genere, nel paese del Dragone, quando due persone si sposano gli invitati regalano soldi. Così facendo però, manca qualcosa di fisico, piccolo ma simbolico. I Ferrero Rocher hanno un successo straordinario perché sono occidentali, quindi di qualità riconosciuta, sono esteticamente delle palle d’oro, culturalmente vicine alla forma e al sistema culturale che piace al cinese, così come la pluri-consistenza (cioccolato, wafer e nocciola). E anche la monoporzione è fondamentale. Nutella vince altrove nel mondo, ed è il prodotto più venduto. Ma in Oriente manca un ingrediente fondamentale per far acquistare la crema di cioccolato più famosa: il pane. E senza questa base dove spalmare il nettare di nocciole, il sapore è fin troppo dolce per un cinese.
Tiziano Vescovi e Andrea Pontiggia, entrambi docenti a Ca’ Foscari hanno illustrato in un recente libro (ed Egea) “Panni Stesi a Pechino” errori e fortune dei nostri esploratori italiani nei nuovi mercati internazionali. Molti sono nordestini. Molti sono stati pionieri; e si sono scontrati con una cultura che preferisce il tè al caffè, va al supermercato su due ruote, non considera la cucina il cuore della casa (e neanche talvolta la usa), dà al cibo più un valore salutistico che di piacere e adora il rosso: il colore del successo.
“Gli strumenti di marketing e impresa che normalmente offriamo agli studenti di international management hanno una storia americana e sono stati sviluppati nel mercato americano e, quindi, in una cultura dominante dove gli altri si adattavano a loro – spiega Tiziano Vescovi -. Inoltre è una cultura di tipo anglossassone che ha radici simili alle nostre, quindi comprensibili dal punto di vista culturale. La verità è che noi ci siamo americanizzati ma loro non si sono europeizzati” continua il docente. L’effetto lo abbiamo quando andiamo a New York: anche senza esserci mai stati, ne riconosciamo ogni angolo. “Ci siamo resi conto – continua Vescovi - che questo meccanismo aveva dato luogo a un approccio auto-referenziale per cui, strumenti e presupposti erano sbagliati e portavano a degli errori in Cina: mercati non dominati da noi culturalmente e dove non è detto che il cliente debba adattarsi al nostro gusto. Primo perché non siamo l’America – chiosa – secondo perché non siamo il centro dell’impero e la Cina è cento volte più grande di noi”.
Quindi, dobbiamo noi comprendere la Cina. E non basta sapere la lingua. “Questa volta è una storia nuova che richiede un approccio umile che non è successo agli imprenditori della prima ondata. Siamo noi che dobbiamo vendere, loro non ce lo chiedono” spiega Vescovi.
Ecco perché a Venezia è nato il primo corso di Laurea magistrale per formare manager con esperienza culturale e di management sui mercati lontani come la Cina. Partito a settembre conta 150 iscritti età under 24 anni (ma le adesioni sono aperte fino a dicembre per i neo laureati). Un Curriculum di laurea magistrale progettato in comune tra dipartimento management e studi sull’Asia della Ca’ Foscari; un ibrido: il 50% delle lezioni è di cultura e lingua cinese il 50% management.

Per entrare bisogna sapere il cinese e in Italia chi lo insegna sono le università di Venezia, Napoli, Roma e Torino. Ma “magistrali così a livello europeo non esistono” dice Vescovi.
“Anni fa, quando andavo le prime volte in Cina, mi dicevano che gli italiani erano arroganti. I cinesi hanno una cultura di 4mila anni più di noi e diversamente dagli Usa dove avevamo comunità italiane forti che ci aiutavano con un mercato dove partire qui non esistono nuclei di questo tipo – prosegue Vescovi -. L’imprenditore che vuole arrivare qui deve comprendere la cultura”.
La laurea prevede stage in Cina e sono già attivi collegamenti con governo e con le università cinesi. Ca’ Foscari già ogni anno invia circa 500 studenti per imparare la lingua. Nelle aziende di norma si va in coppia: uno studente parla bene cinese, l’altro sa di economia. L'obiettivo è avere una figura unica e complessa: oggi solo l’inglese non basta.
“Contiamo già ottimi e giovani manager entusiasti espatriati. Questa è una laurea che non serve solo per le aziende italiane che vanno in Cina ma anche per le aziende cinesi che vengono in Italia e in Europa, la ricerca di mediatori culturali per aziende cinesi è altissima”.
“Ora – conclude - ci farebbe piacere ragionare con grandi aziende che ci possano credere. Saremmo felici di lavorare con imprese che hanno sede in Cina. Già lavoriamo con i loro manager: grazie al nostro master in Global management to China che ha costruito un buon network di aziende a sostegno anche del corso”.
(Eleonora Vallin)
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