Della Bella: «Verona deve collaborare con le altre città per potere sognare in grande»

Il presidente di Apindustria: «Negli ultimi dieci anni non abbiamo migliorato, ma perso alcuni pezzi fondamentali come Banco e Cattolica, ora serve un confronto sul futuro del nostro territorio»

Edoardo Bus
Renato Della Bella, presidente di Apindustria Verona e al vertice di Confimi Industria Veneto
Renato Della Bella, presidente di Apindustria Verona e al vertice di Confimi Industria Veneto

Renato Della Bella è da cinque anni il presidente di Apindustria a Verona e da quasi uno al vertice di Confimi Industria Veneto, ma soprattutto è uno dei personaggi della scena veronese che tenta di alimentare il dibattito su visione e futuro della città, come dovrebbe essere naturale per la classe dirigente di un territorio.

Apindustria Confimi Verona, fondata nel 1962 con la finalità di rappresentare, tutelare e sostenere le piccole e medie imprese di Verona e provincia, è una delle realtà più dinamiche e rappresentative dell’economia scaligera e dell’intero Nordest. Conta quasi mille aziende associate, che occupano 16 mila addetti con un fatturato complessivo di circa cinque miliardi di euro. NordEst Economia ha fatto cinque domande al presidente Della Bella.

L'Arena di Verona, il simbolo per eccellenza della città scaligera
L'Arena di Verona, il simbolo per eccellenza della città scaligera

Qual è il suo punto di vista sul presente della città?

«Non credo sia un mistero che Verona negli ultimi dieci anni non abbia certo migliorato, piuttosto si trova in una fase di stallo preoccupante. Abbiamo perso pezzi fondamentali per la città come Banco Popolare e adesso Cattolica. Fiera Verona ed Aeroporto si trovano in un momento molto delicato. C’è un gran bisogno, a livello cittadino, di una nuova classe dirigente. Credo davvero che scelte industriali, investimenti pubblici, infrastrutture, dovrebbero essere al centro del dibattito cittadino, ma purtroppo non è così, c’è un deficit di visione.

Facciamo alcuni esempi di questioni che andrebbero affrontate pubblicamente?

«Il primo esempio è relativo all’ottimo studio che Confindustria ed Ance hanno presentato sulla Verona del 2040, dove hanno proposto posizionamenti, alleanze, piani di sviluppo. È passata qualche settimana e quel lavoro è stato riposto in un cassetto, non ha innescato quella discussione su progetti concreti che è invece assolutamente indispensabile. Sull’aeroporto, che sarebbe un enorme volano di sviluppo, ci si limita a qualche battaglia localistica di retroguardia, quando c’è sicuramente attenzione da parte di fondi di investimento stranieri, che potrebbero portare turismo qualificato e ricchezza al territorio, far guadagnare posizioni alla città. Non si discute sul futuro della Fiera, che da sola fa fatica, in una fase in cui le aggregazioni e le alleanze sono in corso sul mercato europeo. È una questione che pongo nell’interesse della collettività, che è la vera socia di riferimento di queste realtà. AGSM si è fusa con AIM, ma basterà? Quadrante Europa è il secondo polo logistico europeo ma sembra doversi difendere dalla concorrenza che vorrebbero fargli a casa sua. Insomma, manca il confronto sulla gestione del recente passato per delinearne errori e positività, nell’ottica di definire nuovi progetti di sviluppo che vedano al centro l’interesse del territorio scaligero».

Tra i problemi della città di cui non si parla ci sono anche due tipi di inquinamento, quello ambientale e quello mafioso...

«Sul primo punto basti pensare a Ca’ del Bue, che è un tema non affrontato da lunghi anni. I rifiuti devono essere trattati, non possiamo avere discariche a cielo aperto. Nel Paese ci sono diversi modelli virtuosi di trattamento dei rifiuti da cui prendere esempio. Quanto alla mafia il problema esiste, come Apindustria siamo stati tra i pochissimi a parlarne pubblicamente, invitando alla nostra assemblea l’ex magistrato Gherardo Colombo, facciamo formazione e prevenzione. Stiamo collaborando con “Avviso Pubblico” contro mafie e corruzione, per creare una consapevolezza nel tessuto imprenditoriale. Insieme abbiamo proposto un progetto fatto proprio dalla Camera di Commercio, per costituire una vera e propria “Consulta della legalità” che fa di Verona un modello da seguire anche in ambito nazionale.

Veniamo ai problemi specifici della piccola industria. Il primo è certamente la difficoltà a trovare personale qualificato, in particolare nei reparti di produzione.

I ragazzi hanno un’idea della fabbrica che non corrisponde più alla realtà, per questo andiamo anche nelle scuole a spiegare che si lavora su macchine a controllo numerico, in aziende che offrono possibilità di crescita. La pandemia non ha creato grossi problemi, tanto che l’89% delle PMI non licenzierà al termine del blocco. Non servono ristori ma personale, dall’operaio specializzato alle figure manageriali. Inoltre, assistiamo ad una impennata dei prezzi delle materie prime, aumenta tutto: legno, plastica, ferro. Temo che sia frutto anche di speculazioni finanziarie. Il risultato è che la materia prima, oltre che essere cara, scarseggia e si fa fatica ad evadere gli ordini».

La sua visione sul futuro di Verona?

«Una città aperta, moderna, dotata dei servizi e delle infrastrutture necessarie, in competizione con altri territori che fanno da traino nel Paese. Ma deve collaborare e sognare in grande. Per me l’orizzonte dovrebbe essere quello della macroregione del Garda. Verona al centro di un sistema che coinvolge Vicenza, Mantova, Brescia e Trento. Abbiamo esempi vicini che funzionano, come Venezia, Padova e Treviso o Parma, Modena e Bologna. Basta col piccolo cabotaggio e operazioni di breve periodo, bisogna pensare a cosa vogliamo che diventi, davvero, la Verona del 2040».

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