Crolla il prezzo del radicchio di Treviso

Il presidente del Consorzio Igp: «Se va sotto i 6-7 euro al chilo al consumatore, vuol dire che qualcuno ci specula»
TREVISO. È l’anno del Covid anche per il radicchio rosso tardivo di Treviso Igp. Gli effetti indiretti della pandemia rischiano di minare gli sforzi dei produttori: non in termini di qualità e resa, che restano elevatissime nei 24 comuni del consorzio di tutela, quanto per il prezzo. Che sta scendendo. La pressoché totale chiusura del settore Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) e le difficoltà nelle esportazioni stanno facendo piazzare il fiore d’inverno quasi esclusivamente sugli scaffali della grande distribuzione.
 
Questo fenomeno, già da alcune settimane, sta “dando il la” a dinamiche di mercato che potrebbero gravare in maniera sempre più seria sui produttori locali, dal momento che il prodotto, in settimane da boom, con la sua grande offerta non trova facili sbocchi di vendita se non quelli dei supermercati.
 
«Servono canali di vendita nuovi, ma non è facile» sottolinea a riguardo Andrea Tosatto, che guida il consorzio di tutela del radicchio rosso di Treviso Igp e del variegato di Castelfranco, «la stagione la definirei quindi incerta: l’andamento dei consumi è totalmente scoordinato rispetto all’anno scorso, essendo venuto meno gran parte del mercato ordinario, qual è quello di ristoranti, agriturismi, alberghi e mercatini. In tutto ciò c’è il grave rischio, in parte già sperimentato, che la grande distribuzione ne approfitti».
 
Dinamiche che, di certo, non favoriscono i produttori trevigiani (oltre che padovani e veneziani, visto che il tardivo sconfina anche fuori dalla Marca), e che fanno passare nettamente in secondo piano il problema, riscontrato da alcuni coltivatori, cioè quello della proliferazione degli afidi, meglio noti come pidocchi. Un problema emerso a inizio produzione e dovuto al caldo eccessivo riscontrato ad ottobre. Ora, al contrario, le temperature rigide e le gelate garantiscono il meglio al rosso fiore simbolo di Treviso.
 
Lo scorso anno i chili di prodotto certificato furono 700 mila, quest’anno la quantità potrebbe essere eguagliata o anche superata. Ma i fattori in gioco sono molti. Intanto quel che è certo è che fino a febbraio troveremo il top del prodotto. Dallo stesso presidente Tosatto parte allora un doppio appello. Il primo ai consumatori, il secondo – dai toni ben più accesi – alla grande distribuzione.
 
«Ai consumatori dico di diffidare dei prezzi troppo bassi: se ce li troviamo di fronte significa che nella parte bassa della catena di produzione c’è chi ci rimette. E non di poco. Ma soprattutto a perderci non sono di certo i supermercati. Allo stesso tempo chiedo di guardare al bollino del consorzio, simbolo di un prodotto del territorio, controllato e di qualità» sostiene il numero uno del consorzio, «cosa dico alla grande distribuzione? Di mettersi una mano sulla coscienza, di assumersi le proprie responsabilità e di non speculare: sostengano davvero le produzioni, non solo a parole, come fanno nei confronti delle istituzioni, e garantiscano un prezzo equo al prodotto».
 
Considerando che di media un chilo di radicchio per un produttore costa minimo 3 euro, significa insomma che un raddoppio del prezzo è relativamente corretto. Se invece il prezzo risulta sotto i 6-7 euro, come già si vede in alcune catene, «vuol dire c’è qualcosa che non va e che chi produce non ci guadagna, anzi ci rimette».
«L’annata per quanto riguarda le certificazioni? Potrà essere in linea con lo scorso anno, ma non è escluso che il prodotto certificato possa crescere: nei momenti di difficoltà, normalmente, i confezionatori puntano sul prodotto Igp» chiude Andrea Tosatto, «un prezzo uniforme e concordato dovrebbe essere l’obiettivo di tutti, perlomeno in questo periodo. Speriamo che il mercato non regali cattive sorprese». —
 

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