Ballin: l’export non basta. Online per “esistere”

La manifattura classica alla prova mercati e consumatori. Il calzaturificio Ballin ha creato il proprio brand solo 5 anni fa, da un anno ha lanciato l’e-store per posizionarsi nel globo. L'ad: "Oggi non si può non essere online"

FIESSO D'ARTICO (VE). Non basta un 80% di export, né bastano 20 monomarca già aperti in tutto il mondo, soprattutto tra Russia, Cina e Medio Oriente, il presente-futuro è l’e-commerce.

Il Calzaturificio Ballin compie quest’anno 70 anni. La storia della manifattura è il dna di quest’azienda che ha deciso di piantare salde radici in Riviera del Brenta, a Fiesso D’Artico, senza mai delocalizzare. Ma il mondo è digitale, il consumatore guarda al marchio e al suo posizionamento.

Solo cinque anni fa l’azienda ha deciso di dividere l’attività di produzione (oggi a nome inverso Nallib) dallo sviluppo del brand proprio, quello che porta il cognome della famiglia fondatrice: Ballin. Obiettivo: uno sviluppo internazionale. Ma se non sei Chanel o Gucci, e vuoi muoverti nel grande e complesso universo del lusso globale, la strada è in salita e non sempre facile. Produrre bene made in Italy non significa anche saperlo vendere. Ma lo scoglio più importante per Ballin è stato, di certo, quello del posizionamento e della notorietà di un marchio dall’italian sound ma a molti sconosciuto.


Ballin è calzatura da donna lusso. Da qui la scelta di posizionarsi nel mercato alto di gamma. Dove, spiega l’ad Luigi Angelo Valsecchi, è “più facile difendere le posizioni”. Ma la scelta è: in quali Paesi vendere?

La prima risposta è stata la Russia: lì c’è un consumatore ricco, che spende. E fin qui tutto bene, fino a un anno fa. Per fortuna Ballin non si è mai seduto sugli allori. E ha capito che la differenziazione del rischio, anche nei mercati, è la chiave per non subire contraccolpi. Ecco perché il crollo della Russia non ha influito su un’azienda che aveva già esplorato Cina, Medio Oriente, Usa, Europa e Giappone. Ma quell’80% di export non basta più.


Ballin è un monomarca giovane ed essere visibili oggi significa essere online. Ma non è un esperimento semplice. “Con l’e-commerce siamo partiti qualche anno fa, capendo che questa era la nuova frontiera ma abbiamo pasticciato. Oggi abbiamo la consapevolezza che l’e-store è uno strumento pericoloso. Per questo va affidato a professionisti” spiega l’ad.

12 mesi fa l’incontro con Filoblu di Santa Maria di Sala. E la scoperta che online si può raggiungere capillarmente ogni mercato senza gli investimenti e lo sforzo nella ricerca del partner giusto per la distribuzione. Online si controlla direttamente il consumatore, si mettono a punto nuove interazioni online-offline ma anche si testano nuovi prodotti come la collezione borse sempre a marchio Ballin. “L’ecommerce ci serve per profilare il consumatore, per conquistarne di nuovi, per identificare target e gusti, per rendere riconoscibile il marchio al di fuori delle leve tradizionali” spiega l’ad.


Ecommerce non è solo vendita, “è sito, social, brand – spiega Valsecchi – il lusso sconta un ritardo sul digitale enorme, si è sempre creduto che bastasse il marchio per vendere. Ma per noi oggi non ci sono altre strade”. “Mi ricordo ancora quando parlai con Federico Marchetti di Yoox, la prima volta – aggiunge il manager – mi disse: io posso distribuire dove e ciò che decidiamo, ma non posso darti la notorietà che non hai”.

Un anno non è abbastanza per fare un bilancio di come e quanto stia funzionando l’ecommerce Ballin. Sulla piattaforma sono passate ‘solo’ due collezioni. Ma le prime sorprese hanno già stupito Valsecchi: “Pensavamo di vendere oltre oceano, invece, stiamo distribuendo in Italia e Europa. Pensavamo a un target di consumatore ma ne stiamo accontentando un altro. L’online non smette mai di stupirci”.

@eleonoravallin
 

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