Antonio Patuelli: «Lo spopolamento è una realtà ma le banche lasciano per ultime. E alcune aprono nuovi sportelli»

L’analisi del presidente dell’Abi sulla “desertificazione bancaria” che colpisce i centri più piccoli. «Prima delle agenzie chiudono i negozi, i bar, persino gli alimentari. Ormai molte persone usano solo i servizi online»

Luca Piana
Antonio Patuelli
Antonio Patuelli

La desertificazione bancaria? «Bisogna mettere i fatti nella giusta prospettiva. È vero che sono stati chiusi molti sportelli ma i numeri complessivi riflettono fattori diversi tra loro, come le aggregazioni bancarie che hanno portato gli istituti a chiudere i doppioni che avevano nelle stesse località, senza far venire meno il servizio, oppure la diffusione dei servizi online, che porta molte persone a non recarsi quasi mai in banca. Va considerato inoltre che, nelle aree oggetto di spopolamento del territorio, e penso a tutta l’area degli Appennini e ad alcune zone delle Alpi, le banche non sono mai state i primi esercizi commerciali a chiudere, perché prima l’hanno fatto i negozi, i bar, persino gli alimentari». Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, l’associazione delle banche italiane, ha letto i dati che il nostro giornale ha pubblicato qualche giorno fa, che mostravano come dal 2017 al 2022 tra Veneto e Friuli Venezia Giulia sono diminuiti del 24% gli sportelli bancari.

Presidente Patuelli, che cosa dicono questi dati?

«Il fenomeno è indubbio, anche se non riguarda tutte le banche, perché alcune stanno ampliando il numero degli sportelli. Le banche sono imprese e, se c’è un territorio da servire, difficilmente lo abbandonano. Però lo spopolamento di molte aree è un fatto, molti negozi hanno chiuso, e lo Stato ha consentito ai Comuni più piccoli di affidare i servizi di tesoreria in maniera diretta alle Poste, senza gara pubblica, togliendo un’ulteriore possibile attività alle banche. Per fortuna esistono gli Atm innovativi, che consentono nuovi servizi».

Quali?

«Molte persone oggi si recano in banca solo per la gestione del contante. I nuovi Atm permettono non soltanto di ricaricare il telefono e ritirare il contante, ma anche di depositarlo e incassare gli assegni. In un mondo fortemente cambiato, rispondono alle esigenze della maggior parte dei clienti».

In generale il 2023 è stato un anno d’oro per le banche, che hanno realizzato profitti in forte crescita, beneficiando dell’aumento dei tassi d’interesse da parte della Bce.

«Certamente l’aumento dei tassi ha contato in misura significativa. Per inquadrare bene la situazione, bisogna però considerare altri aspetti, come i costi accresciuti per le operazioni Tltro della liquidità della Bce. In origine aveva costi molto bassi, che poi per effetto dell’aumento dei tassi sono cresciuti».

A dispetto di questi aumenti, i profitti netti delle banche non sembrano averne risentito.

«Se si ferma a guardare quelle quotate in Borsa, è certamente vero. Fra quelle non quotate, alcune hanno sofferto anche nel 2023».

Che cosa risponde all’accusa alle banche di aver generato enormi extra profitti grazie all’aumento dei tassi?

«Innanzi tutto, il primo che si avvantaggia degli utili delle banche è lo Stato. Se si considerano tutte le imposte nazionali, addizionali regionali e locali, tasse straordinarie diventate ormai strutturali, la cedolare secca sui dividendi distribuiti, si arriva a un prelievo nell’ordine del 60% dell’utile lordo. Poi va considerato che, su cento banche, soltanto una ha beneficiato in passato di interventi di Stato per essere messa in sicurezza. I risultati di oggi sono il frutto di un profondo lavoro durato dieci anni di riorganizzazione, di investimenti in tecnologia, di accantonamenti per rafforzare il patrimonio, di piani di prepensionamento volontario in cui nessun dipendente è stato costretto a lasciare il posto».

Quando inizierà a diminuire la pressione della stretta della Bce sui prestiti alle famiglie e alle imprese?

«I tassi di mercato hanno già iniziato a calare, anticipando l’allentamento della Bce. L’Irs a 10 anni ha raggiunto il suo picco il 3 ottobre scorso al 3,52%, adesso è al 2,78%. Il tasso sui Btp a 10 anni era arrivato il 18 ottobre al 4,99%, ora è diminuito di oltre un punto percentuale, al 3,89%. Sottoscrivere un mutuo o prendere un prestito oggi costa meno dell’autunno scorso. Un calo più consistente arriverà, in maniera graduale e progressiva, quando la Bce inizierà a tagliare i tassi».

Le banche oggi sono in grado di resistere meglio agli shock di dieci anni fa? Oppure resta il rischio di operare in un Paese con debito pubblico tanto elevato?

«Tutte e due. Il prossimo novembre saranno dieci anni che è nata l’Unione bancaria europea, che ha introdotto criteri molto più rigidi per il patrimonio delle banche. D’altra parte il debito pubblico dal 1977 a oggi non ha mai smesso di crescere. Magari in certi periodi è diminuito in percentuale rispetto al Pil ma, in valore assoluto, è aumentato ogni anno».

Lo spread negli ultimi mesi è diminuito.

«È vero. In parte, però, è successo anche perché sono aumentati i rendimenti dei Bund tedeschi. La situazione economica in Germania è complessa e il costo del debito tedesco riflette questo fattore. I Btp italiani a 10 anni rendono più dei titoli anche della Grecia, del Portogallo, della Spagna. Bisogna lavorare per bloccare la crescita del debito pubblico: se l’Italia ci riuscisse, si innescherebbe un circolo virtuoso che spingerebbe al ribasso i rendimenti dei titoli di Stato, consentendo alla Repubblica risparmi via via più cospicui».

Il governo pensa alla privatizzazione di quote di aziende pubbliche. Può servire?

«L’occasione è stata persa trent’anni fa, quando con le privatizzazioni è stata finanziata la spesa corrente, non la riduzione del debito. Speriamo che ora non si faccia lo stesso».

È fiducioso?

«È un termine che non uso mai. Vedremo i fatti».

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