Guerra dei prezzi tra Usa, Cina e Europa: le Pmi del Nord Est devono riconvertirsi

Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche: «I dazi americani frenano il commercio e spezzano le catene globali del valore. Se si ferma la Germania, sono guai»

Piercarlo Fiumanò

Fedele De Novellis è partner di Ref Ricerche, istituto indipendente con sede a Milano, specializzato nei temi dell’analisi economica. Attualmente dirige la sezione di analisi della congiuntura economica. Ha diretto numerosi progetti per imprese e associazioni di categoria. Svolge attività di consulenza presso le principali sedi istituzionali, e per conto di alcune delle principali associazioni sindacali e datoriali.

De Novellis, come cambia la geopolitica della competitività globale?

«I dazi americani rappresentano l’ennesimo tassello di una serie di misure protezionistiche — basti pensare anche agli effetti della Brexit — che ostacolano il commercio internazionale e interrompono le catene globali del valore, penalizzando in particolare le piccole e medie imprese esportatrici del Nord Est. Tuttavia, gli Stati Uniti assorbono circa il 10% dell’export del Made in Italy, motivo per cui l’impatto complessivo di queste misure, pur negativo, può considerarsi relativamente contenuto».

Oggi però domina l’incertezza e le regole nell’era Trump cambiano ogni giorno…

«Negli ultimi dieci anni, la globalizzazione e il modello di sviluppo manifatturiero basato sull’export hanno subito forti contraccolpi. Il protezionismo americano si contrappone a una pressione competitiva sempre più intensa da parte dei Paesi asiatici. In particolare, la concorrenza della Cina tende a rafforzarsi nei mercati europei, già penalizzati dall’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, che riduce la competitività delle esportazioni europee. Ci sarà una accesa guerra dei prezzi fra Stati Uniti, Cina ed Europa. La guerra dei dazi ha colpito soprattutto l’industria tedesca».

La Germania rischia di diventare un problema europeo?

«Se si ferma l’industria tedesca anche l’Italia ne subirà le conseguenze. L’alleggerimento delle politiche di bilancio deciso dal Cancelliere Merz si è reso necessario proprio per far fronte alla crisi industriale ed economica del Paese, penso alla crisi della filiera dell’Auto, attraverso un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture e nella difesa».

Quali i riflessi industriali di questo scenario a Nord Est?

«Il forte aumento delle spese militari spingerà alla riconversione industriale nel settore Difesa di pezzi del sistema delle nostre imprese metalmeccaniche. Un fenomeno produttivo che coinvolgerà anche le piccole e medie imprese del Nord Est».

L’aggressività commerciale dei paesi asiatici si giocherà soprattutto nel settore Auto. Cosa abbiamo da temere?

«L’Auto è un pezzo importante dell’industria europea, in particolare l’industria tedesca. Ma anche l’Italia deve preoccuparsi e mi riferisco a molte aziende dell’indotto anche a Nord Est che lavorano in conto terzi per la Germania, che potrebbero essere a rischio».

Perché le terre rare sono considerate una risorsa cruciale per lo sviluppo delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale, e quali rischi comporta una loro concentrazione in pochi Paesi produttori?

«La Cina non è solo protagonista della disputa sui dazi commerciali, ma anche di una più ampia redistribuzione delle risorse strategiche. Il controllo su materie prime essenziali — come le terre rare, fondamentali per la produzione di chip e tecnologie legate all’intelligenza artificiale — conferisce a Pechino un ruolo centrale nelle catene globali del valore».

La competizione per le terre rare rappresenta una nuova forma di “guerra economica” tra grandi potenze?

«Questa interdipendenza espone i mercati a rischi di vulnerabilità: ad esempio, alcuni principi attivi farmaceutici derivano da molecole prodotte da un’unica azienda in India; se quella produzione si interrompe, l’intera catena di fornitura del farmaco si blocca. Lo stesso vale per prodotti tecnologici complessi, come gli smartphone, composti da decine di componenti provenienti da Paesi diversi».

L’intelligenza artificiale rappresenta un possibile “cigno nero” per l’economia mondiale?

«L’AI è un fenomeno capace di produrre effetti imprevedibili e potenzialmente dirompenti. Alcuni grandi gruppi, come Amazon, hanno già annunciato migliaia di licenziamenti (circa 14 mila), che non riguardano solo la manodopera esecutiva ma anche impiegati e colletti bianchi. Questo segnala che il mercato del lavoro potrebbe subire contraccolpi negativi. Nonostante ciò, a livello macroeconomico l’impatto sulla crescita rimane positivo, poiché l’IA può aumentare la produttività. Il vero interrogativo è quindi se l’intelligenza artificiale costituisca una trasformazione strutturale o semplicemente un’innovazione tecnologica evolutiva, come in passato fu l’introduzione dei motori o dell’automazione».

Sul fronte dei tassi le banche centrali sembrano muoversi in controtendenza...

«Negli Usa, la Federal Reserve è sottoposta a pressioni per ridurre i tassi di interesse, mentre in Europa la Banca Centrale Europea mantiene un atteggiamento più cauto e prudente. Questo differenziale nei tassi incide direttamente sull’andamento del cambio euro-dollaro e, di conseguenza, sulla competitività delle imprese europee sui mercati internazionali».

Vede rischi sui prezzi?

«Negli ultimi tempi, il commercio mondiale e i prezzi dell’energia, in particolare del gas, hanno mostrato segnali di stabilizzazione dopo un periodo di forte volatilità. L’Europa, che aveva sofferto a lungo per l’alto costo dell’energia, oggi beneficia di prezzi più bassi, e questo contribuisce a un miglioramento delle condizioni economiche, grazie anche a tassi d’interesse più contenuti. L’austerity europea è ormai un lontano ricordo e si torna alla spesa pubblica.. Una politica fiscale europea meno rigorosa non porta automaticamente alla ripresa economica ma può garantire una certa stabilizzazione del ciclo economico».

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