La voglia di reagire degli imprenditori che può cambiare un’economia in grigio

I segnali della trasformazione in atto nell’industria del Nord Est. Il contesto internazionale, però, non è l’unica causa del momento grigio: scricchiola il quadro di riferimento in cui molte aziende si sono mosse per decenni,

Luca PianaLuca Piana

Svanita l’illusione degli anni post Covid, quando la flessibilità del sistema manifatturiero e le misure pensate per arginare i danni della pandemia avevano lanciato la nostra economia verso tassi di crescita ai vertici d’Europa, ormai dal 2023 l’Italia si è ritrovata a fare i conti con incrementi del Pil da prefisso telefonico, come si diceva quando esistevano le interurbane. In questo 2025 la crescita dovrebbe fermarsi allo 0,5 per cento, dopo lo 0,7 del 2024, e se non fosse per gli investimenti del Pnrr purtroppo saremmo già sotto.

In questo quadro, anche il Nord Est non riesce a muoversi controcorrente, come aveva fatto in passato, quando era considerato la locomotiva d’Italia. Le ragioni sono molteplici e - in un territorio dalla forte vocazione per l’export – c’entra senza dubbio l’incertezza che domina gli scambi globali, tra conflitti combattuti con le armi e guerre commerciali dove l’offesa passa attraverso dazi, minacce, ritorsioni. Il contesto internazionale, però, non è l’unica causa del momento grigio. Chi batte palmo a palmo i distretti produttivi del nostro territorio, come hanno fatto in questi anni i giornalisti del nostro gruppo editoriale Nord Est Multimedia, che organizza gli eventi Top 500 assieme a Pwc, può infatti toccare con mano due fenomeni di segno opposto.

Due fenomeni di segno opposto

Il primo è rappresentato dallo scricchiolare del quadro di riferimento in cui molte aziende si sono mosse per decenni, fatto di intraprendenza personale, flessibilità produttiva, manodopera a basso costo, attaccamento al lavoro. Le mutazioni in atto sono numerose, il salto tecnologico in arrivo con l’Intelligenza Artificiale, la tempesta sui mercati esteri, l’affacciarsi di nuovi concorrenti sempre più agguerriti, il cambiamento in corso della società, effetto in parte della glaciazione demografica.

«Quando loro andranno in pensione, non troverò nessuno che vorrà prenderne il posto», mi ha detto qualche giorno fa un imprenditore il cui marchio è conosciuto in tutto il mondo, simbolo di qualità impareggiabile, riferendosi ai dipendenti impegnati nella fabbrica che mi stava facendo visitare. «Loro», si badi bene, non erano solo donne e uomini nati in famiglie italiane, bensì in larga parte immigrati o figli di immigrati. Parole come queste, o concetti simili, è facile ascoltarle in molte fabbriche, assieme alla considerazione che sì, ci sarebbero le commesse e i margini per aprire un altro impianto, oppure per aggiungere un terzo turno, se non fosse che non si troverebbero i lavoratori necessari.

Rischio staticità

Entrando nelle imprese, tuttavia, c’è un secondo fenomeno impossibile da non notare, ed è la volontà di reagire di molti imprenditori. La staticità dell’economia nordestina che emerge dai numeri complessivi, infatti, rischia di offuscare i tanti casi di innovazione che stanno interessando il territorio e che emergono anche dalle classifiche che pubblichiamo in queste pagine.

Anche qui le sfaccettature sono molteplici, e comprendono le acquisizioni in atto per crescere di dimensioni, così come i passaggi generazionali risolti confluendo in gruppi con ambizioni maggiori. Tra i tanti aspetti degni di nota, tuttavia, ce n’è uno che nel lungo periodo potrebbe generare effetti di scala, ed è la collaborazione tra imprese diverse, oppure tra imprese, università e istituzioni.

In Friuli Venezia Giulia sta lavorando con grande determinazione in questa direzione il Cluster Legno Arredo Casa, mentre in Veneto negli ultimi anni sono nate due reti regionali che coinvolgono imprese, università e centri ricerche, la Air dedicata all’industria dell’aerospazio e la Face Design per la moda e le calzature. La necessità di progetti di sviluppo comuni, che possano generare ricadute positive dai gruppi più grandi alle Pmi, è sentita da molti imprenditori, che altrimenti rischierebbero di restare schiacciati nelle catene di fornitura, oppure esclusi dai profitti riservati a chi si è posto al vertice della catena del valore.

Gruppi sempre più grossi

Infine, un ultimo fattore: il Nord Est, patria della piccola impresa, sta vedendo crescere gruppi di dimensioni sempre maggiori, che in una filiera ben organizzata possono spingere i fornitori a fare il salto dimensionale, contando su ordini di durata pluriennale. Gli esempi sono i colossi di Stato della difesa, Fincantieri e Leonardo: testa a Roma in entrambi i casi, ma cantieri e fabbriche dalle nostre parti, a Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Tessera. Anche in questo caso, l’occasione è d’oro, anche per le Pmi che saranno capaci di fare un salto nel futuro.

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