Paralimpiadi Milano-Cortina 2026, De Sanctis: «Mi aspetto da 7 a 10 medaglie»

Intervista al capo dello sport paralimpico italiano. «Ormai c’è poca differenza con i Giochi Olimpici, abbiamo sdoganato la disabilità per l’alto livello»

Giancarlo PadovanGiancarlo Padovan
Giuseppe Romele in azione in una gara di sci di fondo paralimpico, nel riquadro Marco Giunio De Sanctis
Giuseppe Romele in azione in una gara di sci di fondo paralimpico, nel riquadro Marco Giunio De Sanctis

Buongiorno Marco Giunio De Sanctis, presidente del Comitato italiano paralimpico. Partiamo da un dato per ricavarne una considerazione. I Giochi paralimpici stanno cambiando la percezione del pubblico e il racconto dei media. A Parigi 2024 c’erano 225 broadcaster da tutto il mondo per oltre 763 ore di copertura. Quelli invernali di Pechino 2022 hanno raggiunto 2 miliardi e 100 milioni di spettatori globali.

Cosa significa tutto questo?

«Significa che ormai c’è poca differenza con i Giochi olimpici. Che abbiamo sdoganato la disabilità per quanto riguarda l'alto livello. Il problema serio è un altro: quello dell'avviamento e della promozione per far fare attività sportiva a molte più persone con disabilità. Questo è il vero grande nodo in Italia. Non quello dell'alto livello. Perché, da Londra in poi, i Giochi paralimpici sono diventati l'altra faccia dei Giochi olimpici».

Marco Giunio De Sanctis
Marco Giunio De Sanctis

Quale sarà l’impegno della televisione di Stato per le prossime Paralimpiadi?

«Prima di tutto la Rai ha la copertura totale dell'evento. Poi farà delle rubriche - una ogni giorno, con Paola Severini Melograni -, naturalmente ponendo l'attenzione su atleti, fatti e sulla politica del giorno».

Che tipo di atteggiamento, invece, si aspetta dalla stampa scritta?

«Per quanto riguarda il momento paralimpico, che inizia il 6 marzo fino al 15 marzo, sono certo che ci sarà la stessa copertura dei giochi olimpici. Il punto è che, immediatamente chiuse le Paralimpiadi, anche i riflettori dei media si spengono e questo non è un bene. Quello che mi aspetto è che cambi la cultura e che lo stesso atteggiamento ci sia anche al di fuori delle grandi manifestazioni».

Andrea Varnier, amministratore delegato di Milano-Cortina 2026, ha detto che per trasmettere l'emozione della Paralimpiade serve una massiccia presenza di pubblico. Ci sono già numeri relativi ai biglietti venduti?

«Sui biglietti abbiamo delle cifre più basse rispetto a quelle che ci aspettavamo, quindi dobbiamo recuperare. Ma per la Paralimpiade abbiamo un vantaggio: il costo è stato abbassato notevolmente. Mi aspetto una grande partecipazione di pubblico italiano e anche straniero. Ricordiamo che stiamo parlando di 65 nazioni provenienti da tutto il mondo. Noi abbiamo solo sei discipline - tra l'altro nordico e biathlon sono accorpate -, quelle olimpiche sono più del doppio. Certamente non sarà la partecipazione massiccia dei Giochi di Pechino, dove c'è una cultura diversa, e soprattutto una diversa dimensione demografica, ma ci sarà la giusta presenza per dimostrare che anche il pubblico italiano è interessato alla Paralimpiade».

Per il Cip meglio tante medaglie azzurre o un successo organizzativo?

«Le medaglie sono importantissime per diffondere la mission paralimpica e fungono da esempio per tutti coloro che non la conoscono, per quelli che non fanno sport o lo praticano non nella maniera adeguata. Però è altrettanto importante l'organizzazione italiana, sia olimpica che paralimpica, sapete che la situazione non è del tutto rosea per la consegna degli impianti e delle strutture. Per cui tutte e due sono importanti, ma altrettanto importante è il cambiamento di rotta degli italiani, dopo Torino 2006. Devono capire che, sulla direttrice dell'inclusione, siamo parte di un tutto e quindi deve esserci un'azione unitaria su ogni fronte. Sarebbe ora che questo Paese lo comprendesse».

Qual è, se c'è, il numero minimo di successi che si augura?

«Dalle sette alle dieci medaglie sarei contento. Perché eguaglierei o supererei di poco l'edizione di Pechino, il colore e il valore non lo so dire. Ma tra le otto e le dieci andrebbero bene. Minimo e massimo».

Qual è l'incognita organizzativa che maggiormente la preoccupa?

«Abbiamo qualche criticità a Livigno e a Milano Santa Giulia. Questo riguarda l'Olimpiade, più che noi. Come Paralimpiadi, a Cortina siamo a posto, a Milano siamo a posto e a Predazzo siamo a posto. Però, come Olimpiade e Paralimpiade, e io sono anche vicepresidente della Fondazione, quindi mi occupo di tutte e due, un po' di preoccupazione per la consegna degli impianti ce l'abbiamo. Poi per quanto riguarda l'accessibilità, quello è un problema aperto. Pensi che il 90 per cento degli impianti preesistenti sono inaccessibili, ecco perché è importante ospitare grandi eventi, soprattutto se paralimpici. Come puoi fare sport se non c'è la possiblità di raggiungere le strutture?»

Cosa deve fare Milano-Cortina per migliorare Torino 2006?

«Milano-Cortina ha il vantaggio di coinvolgere due grandi regioni, Torino era una sola regione. Con un' Olimpiade e una Paralimpiade diffuse ci sono tanti siti, tante location, diverse cerimonie di apertura e chiusura. Sta cambiando un po' tutto. Quindi Milano-Cortina può dare un segnale di espansione del messaggio olimpico e paralimpico, di unitarietà e di diffusione di questo messaggio».

L'Italia è culturalmente pronta per capire la grandezza di una Paralimpiade?

«Per quanto riguarda lo sport di alto livello, sì. Per quanto riguarda la cultura in generale, il percorso non è ancora completato. Al di là delle parole, ancora non c'è quella piena convinzione che le Paralimpiadi siano uguali alle Olimpiadi e che il movimento paralimpico sia pari al movimento olimpico».

Quanto le secca avere commissariato la Federazione Paralimpica Sport Invernali a meno di tre mesi dall’evento?

«Io sono molto dispiaciuto. Tra l'altro con il presidente Tavian c'è un rapporto d'amicizia da trent'anni, lo conosco benissimo, ma non ho potuto fare diversamente. Avremmo rischiato di più a non intervenire». 

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