Mian: «Le sanzioni hanno poco effetto e Putin ha difeso il consenso»
Il giornalista e scrittore sarà ospite al Link Media Festival di Trieste, dove presenterà anche il suo libro sulla Russia: «La gente è stanca del conflitto, ma l’economia di guerra ha retto benissimo»

Doppio appuntamento al festival Link con Marzio Mian, giornalista, scrittore e fondatore di The Arctic Times Project. Sabato pomeriggio, 17 maggio, Mian affronterà il tema della “corsa all’Artico” in dialogo con Marco Di Liddo (direttore del Centro studi internazionale) e presenterà il suo libro Volga Blues, un viaggio nel cuore della Russia, al di là del fronte della guerra.
Cosa significa vivere in Russia oggi?
«Non è una risposta semplice. I russi sono stanchi del conflitto e il regime sa che non è possibile proseguire con questa guerra. Tuttavia, vivere in Russia ora significa godere di relativo benessere. La disoccupazione è al 3% e i beni essenziali, che nel 2022 scarseggiavano, ci sono e hanno prezzi normali. L’economia di guerra ha retto benissimo e le sanzioni non hanno avuto l’effetto sperato. La Russia ha reagito cominciando a produrre ciò che prima importava e facendo grandi investimenti, soprattutto nel settore agricolo. In larga maggioranza i russi sostengono Putin. Chi dissentiva pubblicamente se n’è andato, mentre chi lo fa privatamente non rappresenta un pericolo per il regime».
E sulla guerra che pensano?
«All’inizio erano attoniti, era una guerra civile contro i fratelli ucraini. Poi la narrazione è cambiata. Il conflitto si è trasformato ed è diventato una guerra di difesa contro l’Occidente, che usava l’Ucraina come mezzo per aggredire la Russia. In più, chi va a combattere proviene dalle zone più periferiche, le più povere. Arruolarsi significa guadagnare di più e questo fornisce una sorta di ammortizzatore sociale».
Nel libro racconta l’incontro con la vicepresidente dell’Unione degli scrittori. Qual è il ruolo degli intellettuali in Russia?
«Molti hanno lasciato il paese. Ma c’è il ritorno di un sindacato degli scrittori che si occupa di valutare, censurare e “governare” le pubblicazioni e la letteratura, come negli anni Trenta. Si assiste anche a una riscrittura della storia. Stalin è valutato positivamente: l’uomo che ha vinto la guerra, della modernizzazione e dell’industrializzazione. Le decine di milioni di morti diventano un dettaglio, a volte vengono anche messe in dubbio».
Una delle sue guide, Vlad, definisce il rapporto tra Usa e Russia come un “rapporto sadomaso”. Cosa ne pensa?
«Sono due animali alfa. Al netto delle differenze, le due realtà per molti versi si assomigliano: sono territori immensi e si considerano “eccezionali”, un termine citato anche da Trump. Condividono un certo sentimento messianico, si sentono benedetti da Dio, i salvatori del mondo. In più, c’è il rapporto con la forza, con la violenza, hanno una certa consuetudine con la guerra. Direi che non è una definizione sbagliata, anche perché in Russia c’è una grande ammirazione verso tutto ciò che è americano. Tutto ciò che è moderno, ciò che è cool, è americano».
E l’Europa? Incarna il “male dell’Occidente”?
«In questo momento sì. Si sentono oltraggiati dai sentimenti antirussi presenti negli Stati europei perché sono percepiti come atti ostili. L’Europa viene vista come decadente, come una cultura che potrebbe contaminare la Russia. Tra le due non c’è mai stato un conflitto di civiltà così marcato come nel momento attuale».
Lei ha scritto un libro sull’Artico, quanto sarà cruciale per il futuro?
«Sarà cruciale. Concordo con chi sostiene che questo sarà “il secolo dell’Artico”, una zona ricchissima di materie prime in un mondo sempre più carente di risorse. Si stanno aprendo nuove rotte ed è evidente che si è innescato un processo di colonizzazione». —
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