Il salto con l’asta e quel confine tra Gorizia e Nova Gorica che si dissolve nell’altezza

Un volo oltre le divisioni: l’evento in piazza Transalpina e il messaggio tra cultura e sport

Fabrizio BrancoliFabrizio Brancoli
L’evento in piazza della Transalpina (Tibaldi)
L’evento in piazza della Transalpina (Tibaldi)

Sotto una pioggia leggera, che trovo deliziosa, assisto, insieme a un migliaio di persone, a una gara di salto con l’asta. Ma non è come le altre. Atlete e atleti saltano lungo un confine, nella città unica e doppia che si chiama Nova Gorica e Gorizia e che quest’anno è capitale europea della cultura.

Rincorsa dal lato italiano, puntamento sul confine esatto, atterraggio sul lato sloveno per un volo oltre le divisioni: non era mai accaduto nel mondo e non mi viene in mente niente di più simbolico, visto che il gesto di culmine – affrontare una sfida grazie a un sostegno – si svolge in aria, sospeso come ogni cosa bella, in una porzione di cielo che non si può assegnare all’Italia o alla Slovenia, perché è di entrambe o forse, meglio, è di nessuno. Come avrebbe pensato John Lennon.

Un salto oltre il confine: i migliori astisti in gara a Gorizia

L’atletica mi intriga perché ha gesti puliti ed essenziali e spesso si percepisce un rapporto sano tra chi compete. Gli astisti, poi, sono una comunità a parte, governata da un sovrano illuminato che si chiama Armand Duplantis, uno dei più grandi sportivi di ogni tempo, talmente forte da azzerare le invidie e pacificare i sudditi, impegnati più a convivere serenamente che a inferocirsi per un secondo posto.

Anche tra le donne è accaduta una cosa del genere, fino a pochi anni fa, con Elena Gadžievna Isinbaeva da Volgograd, altrettanto epocale e altrettanto dominante. Duplantis doveva essere qui. Invece non si è fatto vedere, cancellandosi nelle ultime settimane, ed è un’amarezza.

Mi sposto continuamente tra le transenne della prima fila di spettatori. Prima nell’area di partenza, dove le atlete (c’è anche l’americana Katie Moon, oro a Tokyo e signora dell’aria, ma disputerà una gara opaca) si preparano alla partenza, poi lungo l’asse della corsa e dietro il materasso finale. Due chiacchiere con un collega veneto che tiene il suo bimbo sulle spalle, più qualche politico, le tv, un cacciatore di autografi molesto che vorrebbe disturbare chi gareggia. Fattelo fare dopo, l’autografo, lasciali in pace.

Vincerà l’italiana – Elisa Molinarolo, veneta di Soave – davanti alla slovena, la veterana Tina Šutej, e anche questi primi due posti paiono avere un senso. Se lo sport è una metafora della vita, anche certi snodi agonistici o esistenziali hanno la forza delle narrazioni.

Gli atleti difendono le loro bandiere ma praticano anche lo spirito di condivisione. La brasiliana Luciana De Menis si allena a Padova, la ceka Amálie Švábíková arriva da Kadaň e conosce i temi del confine, perché è a due passi dalla Germania. La stessa Moon è dell’Ohio, ma arriva da Lakewood che un tempo era nel Connecticut. È un giorno transfrontaliero anche nelle storie personali, nelle provenienze; c’è dell’antropologia sottile sotto questa pioggia d’estate.

Un salto oltre il confine: Elisa Molinarolo trionfa in piazza della Transalpina
La redazione
(foto Tibaldi)

Con questo girovagare per niente tormentato, finisco per espatriare e rientrare nel mio Paese una ventina di volte. Perché tutto questo si svolge davanti alla stazione ferroviaria di Nova Gorica, che sembra un monumento e che forse lo è. Sta qui da 119 anni, oggi è “all’estero” per noi, per una trentina di metri di distanza dal confine italo-sloveno. Nel tempo la stazione ha fatto parte di diversi Stati: inizialmente c’era l’Impero austro-ungarico (1906–19), poi le amministrazioni italiana (1919–43 e 1945–47), tedesca (1943–45), jugoslava (1947–91) e slovena. A ogni svolta politica, il nome della stazione è variato. È l’epitome del mondo che cambia.

Cammino lungo quello che un tempo era un muro divisorio tra due paesi poco amici. Un muro brutto e grezzo, sorvegliato militarmente, picconato dagli attivisti e rivendicato dai nostalgici delle ripartizioni. Oggi è un muretto di pochi centimetri di altezza e di pochi metri di lunghezza. Una testimonianza, ma è sufficiente così. Meglio il prato, meglio quell’albero enorme, meglio la locomotiva storica e il vialetto curato che invita a decentrare ancora un po’ l’interesse.

È l’inizio di un parco transfrontaliero realizzato con quasi 4,5 milioni di fondi europei. Laggiù, sulla sinistra, c’è un altro cantiere di sport: un campo da basket lungo il confine. Lo inaugureranno due campioni, Goran Dragić e Gigi Datome, e anche qui l’impostazione avrà un valore perché il canestro intestato a Dragic punterà verso l'Italia, quello di Datome verso la Slovenia. È tutta una storia di sport e di cultura, se è lecito finalmente integrare queste due parole, sport e cultura, che per troppo tempo abbiamo voluto pervicacemente considerare distanti, non facendo tesoro delle saggezze antiche, come quella di Giovenale: mens sana in corpore sano.

Quando la gara ha una breve pausa, vado a prendere un caffè nel bar della stazione, che assomiglia a una taverna con i legni scuri e un biliardo. Il locale espone dipinti iperrealisti di un artista goriziano, Luca Suelzu: paesaggi urbani, dettagli di palazzi e caselli, di piazze trafficate, che da lontano sembrano foto. Il più grande è affisso a una parete rossa. È una veduta di largo Barriera a Trieste, dove abito. Mi ritrovo a sorridere. Su questo confine finalmente invisibile ho trovato un segno di casa mia. Magari significa qualcosa.

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