Social freezing in aumento, così la maternità si ritarda congelando gli ovociti
La crioconservazione nei centri sanitari privati veneti è cresciuta anche del 50%. Le giovani si riservano la possibilità di diventare mamme più tardi. Costa 3 mila euro. Tomei, Centro di Medicina: «Sta succedendo in un contesto di denatalità»

Le percentuali variano a seconda della clinica di riferimento, ma il segno positivo è comune e racconta un fenomeno in netta crescita anche in Veneto. Si tratta del social freezing, ovvero la pratica di crioconservazione degli ovociti: le donne in età fertile li congelano per poterli usare in caso di maternità futura.
Fino a qualche tempo fa esisteva solo il congelamento per preservare la fertilità per motivazioni mediche e oggi, nella nostra regione, è ancora l’unica procedura possibile nelle strutture sanitarie pubbliche, con zero costi per la paziente. In quelle private e accreditate si sta invece affermando l’analoga pratica per ragioni diverse da quelle di salute, legate ai cambiamenti degli stili di vita: a migliori opportunità professionali e di carriera o, per contro, alla mancanza di stabilità economica e all’alto costo della vita, alla mancanza di un partner o di una relazione stabile, alla sensazione di non essere ancora pronta per la genitorialità.
I numeri
Lo scorso marzo il Gruppo Genera, uno dei maggiori in Italia con un centro anche nel Vicentino, a Marostica, ha dichiarato a Quotidiano Sanità una crescita del 50% dei casi di social freezing tra il 2023 e il 2024.
Arc Ster a Mestre, la prima struttura privata accreditata nata in Veneto per la procreazione medica assistita, ha indicato un aumento del 10% nel corso degli anni: tre donne nel 2019 e 32 nel 2024. Una trentina di pazienti anche al Centro di Medicina di Mestre.
Sul tema è stato pubblicato anche un libro di due professoresse dell’Università di Padova dal titolo “Oltre i confini della fertilità femminile. Un’analisi multidisciplinare al social freezing in Italia”, a cura di Luciana Caenazzo e Pamela Tozzo (Piccin-Nuova Libraria).
Gli obiettivi
Il responsabile Pma della clinica Iotti di Mestre del Gruppo Centro di Medicina, Francesco Tomei, ex primario nel reparto Pma all’ospedale di Pordenone, spiega l’attualità di questa pratica in un contesto di denatalità e infertilità.
«È noto che la fertilità femminile diminuisce gradualmente ma significativamente dopo i 32 anni e il declino accelera dopo i 35 anni», sottolinea, «La diminuzione della quantità di pool follicolari e della qualità degli ovociti e i maggiori rischi di anomalie cromosomiche fetali che portano alla perdita del feto rappresentano la causa principale del declino della fertilità legato all’età. La crioconservazione degli ovociti per posticipare la gravidanza è diventata una strategia molto popolare per preservare il potenziale di fertilità femminile».
E continua: «Da 45 anni siamo in calo demografico. Abbiamo la metà delle donne che fanno figli rispetto a un tempo. Siamo in una società che non permette facilmente a un giovane di fare una famiglia, ci sono difficoltà che tutti conosciamo con la conseguenza che si porta avanti l’età riproduttiva. Il primo nato è quando la donna ha tra i 31 e 32 anni; ci si rivolge alle strutture sanitarie verso i 37 anni. Ma 35 anni sono un’età materna avanzata con riferimento alle ovaie».
Il principio: «Dal 2013 il congelamento degli ovociti non è più tecnica sperimentale ma routinaria», precisa Tomei, «possiamo mettere via gli ovociti quando sono tanti e buoni e utilizzarli anche 10 anni dopo, ma con le caratteristiche della 28enne e non della 45enne». Gli ovociti congelati possono durare anche più di 20 anni, mentre il limite di età preferibile per una donna per fare figli è di 50 anni in quanto il rischio ostetrico e della gravidanza iniziano a essere fattori da considerare. Il costo a carico della donna è in media di 3 mila euro come base e in Veneto non è coperto dalla sanità pubblica.
L’informazione
La pratica del social freezing richiede comunque, secondo gli addetti ai lavori, una maggiore informazione anche attraverso il coinvolgimento dei medici che dovrebbero dare risposte alle pazienti sulla fertilità e sulle possibilità tecniche di preservarla. Tale esigenza, come ha spiegato Tomei in una conferenza di fine maggio a Mestre, è emersa dopo un sondaggio tra 930 studentesse dell’Università di Padova che ha analizzato conoscenze a attitudini sul congelamento elettivo degli ovociti e potenziali intenzioni riguardo.
Il 34,3% delle universitarie ha dichiarato di aver sentito parlare della possibilità di crioconservazione per ragioni non mediche, il 19,5% si è detto favorevole al congelamento degli ovuli sociali, il 48,4% ha sostenuto che il costo deve essere a carico della donna, il 35,1% accetterebbe di donare a una donna o coppia conosciuta e il 42,5% a una biobanca.
Nelle strutture pubbliche
Quanto alla preservazione della fertilità «il Veneto è all’avanguardia nell’attenzione al benessere fisico, psichico e sociale della donna. Tanto da aver approvato l’accesso alla preservazione della fertilità in regime di assistenza sanitaria, e quindi con fondi pubblici regionali». Lo afferma la professoressa Alessandra Andrisani, a capo dell’Unità di Procreazione Medicalmente Assistita dell’Azienda Ospedaliera padovana; sottolinea come la sanità veneta si distingua per la posizione avanzata rispetto ad altre realtà nazionali.
Sono 130 i casi seguiti in via Giustiniani, tutti relativi a donne che hanno scelto la crioconservazione degli ovociti per fattori legati a malattie.
«Nella sanità pubblica veneta vengono seguiti solo i casi di preservazione della fertilità per la presenza di patologie di varia natura come endometriosi, mutazioni genetiche, malattie reumatiche e oncologiche», precisa Andrisani, «Il pubblico al momento non potrebbe farsi carico del social freezing perché rischierebbe un sovraccarico, con l’allungarsi dei tempi di attesa per le donne seguite in regime di assistenza pubblica», precisa la professoressa.
Sottolineando inoltre come manchino anche gli specialisti formati. Le strutture pubbliche invece ci sono e funzionano: Padova vanta un centro all’avanguardia, completamente ammodernato tre anni fa. Conclude Andrisani: «Il social freezing è in aumento e stanno crescendo anche le richieste da parte di persone che presentano un’età adeguata, mentre prima si presentavano spesso donne troppo avanti con gli anni».
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