Promama, la startup sul lavoro che fa incontrare neo mamme e aziende family friendly

Claudine Rollandin, ex product manager, dopo la maternità si dimette e dà vita al progetto per censire realtà con politiche di attenzione alle famiglie e per aiutare le donne nella delicata fase del rientro al lavoro. Un portale, incontri e un test (da provare) per capire quanto le aziende siano family friendly

Rubina BonRubina Bon
La home page di Promama (www.promama.it)
La home page di Promama (www.promama.it)

“Bene, sei incinta… ma torni dopo?”. Nel campionario (purtroppo scontato) delle frasi rivolte alla lavoratrici in dolce attesa, c’è sicuramente anche questa. Già… “Ma torni?”. 

Metti una donna al rientro al lavoro dopo la maternità: ha forse esigenze particolari per rendere meno traumatico un passaggio certamente delicato? E ci sono aziende – dalle piccole alle multinazionali – in grado di essere family friendly?

Dall’esperienza di Claudine Rollandin, un passato da product manager digitale, mamma di una bambina di tre anni, è nata Promama (www.promama.it), startup gestita da quattro donne che vuole riavvicinare il talento delle neo mamme al mondo aziendale. Un’idea, spiega Claudine, «nata dalla mia esperienza di maternità e lavoro che non è andata esattamente come mi sarei aspettata a priori: al rientro ho percepito che in quella realtà non c’era più posto per me». 

Dalle aziende con il “bollino” di family friendly alla vetrina di cerco-offro lavoro (a misura di mamma), fino ai corsi per reinserirsi nel mondo del lavoro dopo i mesi tra allattamento e pannolini: Promama vuole essere uno strumento per un rientro in azienda il più sereno possibile.

Claudine Rollandin, founder di Promama
Claudine Rollandin, founder di Promama

Claudine Rollandin, cos’è Promama?

«Promama nasce con il primo obiettivo di rendere più facilmente identificabili quelle aziende che noi chiamiamo family friendly, cioè che hanno lavorato o stanno lavorando per rendere gli ambienti lavorativi particolarmente accoglienti e inclusivi per i lavoratori, con un occhio di attenzione alla genitorialità. Da un lato abbiamo una community di genitori, nella stragrande maggioranza dei casi di neo mamme, in cerca di opportunità lavorative più in linea con le nuove necessità o valori, piuttosto che di opportunità formative e di supporto in quel momento particolare del percorso personale e professionale. Dall’altro lato c’è un network di aziende che chiamiamo family friendly: quello che facciamo è cercare di supportare i due mondi».

Come si concretizza il lavoro?

«Per la community proponiamo una serie di iniziative, anche di formazione, oltre che di webinar gratuiti, con percorsi per supportare il rientro. Quanto alle aziende, le aiutiamo a raccontarsi e diventare più attrattive per questo target di talenti e ad intraprendere percorsi di miglioramento. Alcune aziende si propongono, altre le cerchiamo mappando bandi in ambito genitorialità, certificazioni di parità di genere, iniziative particolari...».

Promama esiste da un anno e mezzo, ha un obiettivo a lungo termine?

«Il nostro grande sogno è che si crei un circolo virtuoso in cui noi da un lato ascoltiamo la voce dei genitori che ci aiutano a costruire strumenti per le aziende, dall'altro le aziende ci aiutano nel supportare la community partecipando alle attività formative, creando occasioni per i lavoratori per toccare con mano cosa succede nelle aziende stesse».

Dall’osservatorio di Promama, cosa chiedono le mamme quando tornano a lavorare?

«Il tema principale è quello del tempo, che è sempre poco… figuriamoci quando arriva un bambino. Per cui le neo mamme cercano qualsiasi tipo di iniziativa che possa restituire loro una parte del tempo. Parliamo principalmente della flessibilità oraria in entrata ed in uscita e della possibilità di lavorare in smart working almeno qualche giorno a settimana. Non penso al part-time, che non è necessariamente la risposta al problema. Poi c’è un tema culturale, ossia come l'azienda fa sentire la lavoratrice in quella fase della vita un po' particolare: le mamme vorrebbero sentirsi parte della realtà, con una comprensione delle difficoltà concrete del momento. Penso ad esempio a convenzioni con gli asili nido o con i centri estivi».

E i congedi parentali?

«Lo Stato dovrebbe rendere i congedi parentali più paritari: la donna resta fuori dal mondo del lavoro per parecchi mesi, l'uomo spesso non prende neanche i 10 giorni di cui ha diritto. E questo porta a un disallineamento della gestione tra le mura domestiche, ma anche tra le mura aziendali».

Carriera e famiglia: è necessario scegliere o esiste una strada di conciliazione?

«Sono assolutamente convinta che non sia necessario scegliere e che anzi, sia sempre più importante che si mettano in campo tutte le iniziative necessarie perché questa scelta non debba più essere fatta. Eppure ancora oggi sono decine di migliaia le neo mamme che escono dal mercato del lavoro dopo aver avuto figli ed esiste senza dubbio il gap salariale». 

Ma allora esistono davvero in Italia le aziende family friendly?

«Certo, esistono delle aziende con cui collaboriamo nelle quali il tasso di rientro post maternità è del 100%, ossia 20 punti percentuali sopra la media nazionale. Sono aziende in cui la proprietà ha lavorato su flessibilità in entrata e uscita, lavoro da remoto magari con logiche di cumulabilità sul periodo, iniziative che accompagnano il rientro del dipendente. Succede sia nelle grandi aziende che nelle piccole, gli ingredienti sono più o meno sempre gli stessi. Certo, queste realtà sono ancora un’eccezione, ma siamo fiduciose che diventino la regola». 

Le vostre aziende family friendly sono maggiormente dirette da donne?

«Non necessariamente. Molto più spesso ai vertici ci sono persone, sia donne che uomini, che hanno vissuto più o meno di recente l’esperienza di diventare genitore».

Un imprenditore che assume una donna incinta: un pazzo o un illuminato?

«Dà speranza sentire storie di donne assunte durante la gravidanza. Nelle aziende grandi è più facile assorbire l’assenza immediata di una collega per alcuni mesi essendoci molto personale. Nelle aziende piccole, invece, dove la coperta è necessariamente più corta, bisogna trovarsi dinnazi ad un imprenditore illuminato».

Da sinistra le "anime" di Promama: Anna Desantis, Claudine Rollandin e Carla Sapuppo. Dello staff fa parte anche Marta Pellegrini
Da sinistra le "anime" di Promama: Anna Desantis, Claudine Rollandin e Carla Sapuppo. Dello staff fa parte anche Marta Pellegrini

Nella vostra startup avete sviluppato l'indice family friendly per le aziende. Come funziona?

«Partiamo da una survey somministrata alle aziende che permette di mappare quali siano le policy all’attivo e alcuni dati interessanti tra cui il tasso di rientro, l'utilizzo dei congedi da parte di lavoratrici e lavoratori… Abbiamo poi una metrica sintetica che si chiama Family Trend Index che indica quanto l'azienda sia già matura su questi temi. Ad ogni nuova azienda che entra in Promama viene rilasciato un assessment che racconta il posizionamento nel panorama e suggerisce le aree di miglioramento per diventare, o diventare ancor di più, family friendly».

E se il dipendente volesse testare l’azienda dove lavora?

«Sul sito promama.it c’è una versione semplificata della survey pensata per i dipendenti, in forma totalmente anonima e con la richiesta di dati che il lavoratore può conoscere. Al termine del sondaggio viene calcolato l’indice family friendly»

Quali consigli dare a un imprenditore che vuole far diventare la propria azienda family friendly?

«A un imprenditore o imprenditrice direi di provare a mettersi all'ascolto: spesso e volentieri non bisogna sparare razzi sulla luna o spendere miliardi di euro per andare incontro alle persone, ma basta davvero attivare quelle due o tre cose che possono cambiare completamente la qualità della vita lavorativa e personale. I benefici di questi investimenti sono da entrambi i lati: una fuoriuscita media del 20% di donne dopo la maternità rappresenta un costo di sostituzione. Ed è un danno a tutto tondo perché impatta anche sull'ecosistema azienda».

E a una neo mamma al rientro dal lavoro dopo la maternità?

«Spesso è una fase di fragilità, in cui le neo mamme per prime si sentono un po’ meno di quello che erano prima, per cui al rientro ci sono insicurezza e l’idea di essere il brutto anatroccolo. Il primo consiglio è che assolutamente la donna rientrata dalla maternità non è un meno, casomai è un più. Ma deve essere lei per prima a riconoscerlo: quando ne diventa consapevole, scopre energie nuove e incredibili. Il secondo è chiedere, prima che subentri lo stress e si possa arrivare anche al burnout. Dall'altra parte è possibile trovare qualcuno disposto a venire incontro e che semplicemente non si era posto quegli interrogativi perché non c'è passato o il suo ricordo risale a 25 anni fa, quando il modello del lavoro era diverso».

E se davanti si trovano solo muri?

«Allora bisogna avere il coraggio di cercare un’occupazione che possa venire incontro alla lavoratrice che è e resta la professionista valida del pre gravidanza. Nulla impedisce di cercare una posizione che sia in linea con quello che la donna ritiene meglio per sé, senza dover scendere a compromessi. Wonder Woman, insomma, non esiste».

 

Argomenti:donne

Riproduzione riservata © il Nord Est