Tutte le meravigliose donne di Fabio Genovesi
Lo scrittore, telecronista del Giro d’Italia, racconta le sue magnifiche maestre di vita nell'ultimo libro. «Racconto le loro splendide lezioni di vita, hanno costruito insieme il paese in cui viviamo»

È un accento toscano che ormai i tifosi di ciclismo riconoscono subito, perché rimanda al Giro d’Italia, a racconti di imprese epiche, di luoghi, di aneddoti. Fabio Genovesi dal 2019 e uno dei telecronisti che raccontano il Giro: un po’ memoria storica, un po’ narratore, un po’ cicerone. Ma nel resto dell'anno (ha vinto il Premio Viareggio, è stato finalista allo Strega) fa altro: scrive libri, romanzi che conservano però la stessa capacità affabulatoria, una sorta di incantamento di fronte alle cose della vita. Sta arrivando ora a Nord Est, a raccontare le tappe che tra pianura e montagna, da Rovigo a Gorizia per arrivare alle montagne, saranno terreno di scontro decisivo. Ed intanto è in libreria il suo ottavo romanzo che si intitola Mie magnifiche maestre (Mondadori, p. 240, 19 euro).

Con il Giro si attraversa in lungo e in largo l’Italia. Cosa si scopre?
«Girare per l’Italia conferma un luogo comune, che proprio perché comune è anche vero. Quando ho cominciato questa avventura mi chiedevo come avrei fatto a trovare sempre cose nuove da raccontare, ed invece è un paese pieno di imprevedibili bellezze, di luoghi che io non avevo mai sentito nominare eppure sono interessantissimi. Poi mi stupisce sempre la grande differenza, non solo tra regione e regione, ma spesso tra una valle e l’altra, un paese e l’altro. Anche due paesini del Veneto, di pianura, senza nessun confine a dividerli, possono essere diversissimi».
Luoghi che conosce bene.
«Con il Nordest e col Veneto in particolare ho un rapporto di amore vero e proprio. Passo tante tanto tempo nella provincia di Treviso e mi sento a casa. Io sono cresciuto sul mare ma anche tra i fossi, i canali in cui si pesca e sono cose che trovo anche qui. Mi piace quella strana combinazione che trovo nelle persone, che da un lato hanno grande senso pratico, lavorano, sanno fare; ma quando staccano conservano passioni incredibili, assurde, bellissime. Per me la vita è quella cosa lì».
Questo è anche il tema del libro. Il Fabio protagonista, si trova a ripensare alle donne della sua famiglia alla vigilia dei cinquant'anni. E’ successo veramente?
«Si, stavo scrivendo un altro libro e tutto procedeva bene, poi una settimana prima di compiere i cinquant’anni mi sono trovato a riflettere sul fatto che la mia vita non è così diversa da quella che facevo a sedici anni, a parte abitare da solo e guidare la macchina. Di solito a cinquant’anni si ha dietro un percorso di vita, ci si sposa, si fanno figli, si mette su casa, si lavora, si fa carriera. Io no e mi è suonato strano: non negativo solo strano. E allora sono arrivate le donne della mia vita, le mie nonne, le zie, le amiche delle zie. Ci sono sempre state quando io avevo bisogno di loro e visto che ora avevo bisogno di loro, anche se sono morte, sono accorse. Hanno cominciato a tornare nei miei sogni, mi hanno raccontato un sacco di cose che mi sono servite su di loro, sulla vita. È stata una settimana traumatica ma bella. Mi hanno fatto capire che i conti non tornano mai, meglio andare avanti senza contare».
Invecchiando le maestre contano più dei maestri?
«Almeno nel mio caso è così. Da ragazzo, quando pensavo di dover diventare un uomo, è ovvio che mi colpissero di più i miei zii, che erano marinai e cacciatori. Le loro lezioni erano più brusche, più immediate, più evidenti. Invece col tempo sono venute fuori le lezioni delle donne di casa mia. E’ un po’ come se si fossero piantate dentro di me in quegli anni come semi e aspettassero di venire fuori con le loro lezioni di vita splendide, che avevo dentro da sempre, ma che solo adesso capisco davvero. Perché non ho più quell'età in cui vuoi essere un uomo, ma quella in cui vuoi essere una persona».
Donne comuni eppure maestre.
«Noi in Italia abbiamo tante persone che ci danno lezioni, però mai esempi da seguire. E invece le “zie” che mi hanno dato lezioni con i loro esempi, con un sorriso in un momento difficile, con la comprensione nei momenti in cui era più facile arrabbiarsi. Ci tenevo a raccontarle, perché ultimamente i libri parlano soprattutto di donne eccezionali: aviatrici di inizio '900, esploratrici, fotografe che hanno girato il mondo. Con tutto il rispetto erano donne ricche, nobili, che facevano cose particolari e al loro confronto nostra mamma, nostra zia, che erano casalinghe, appaiono come delle sfigate. Non è così: hanno fatto cose importantissime. Hanno costruito tutti insieme il paese dove viviamo».
Torniamo al Giro. Prima era un tifoso, un appassionato, ora che questo mondo lo ha conosciuto da dentro?
«Lo trovo splendido. Non solo perché stiamo vivendo uno dei momenti più belli della storia del ciclismo a livello atletico, con questi campioni che si sfidano a faccia aperta. Ma anche perché ho trovato persone favolose. Dei tifosi lo sapevo, ma anche i corridori, i giornalisti, e tutti quelli che ne fanno parte. Se durante l'anno qualcuno mi chiama per chiedermi come va è sempre del mondo del ciclismo, non di quello della letteratura». —
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