Donne al vertice degli atenei del Nord Est: «Non siamo più un’eccezione»

Il Nord Est guida il cambiamento culturale nelle università italiane, sempre più al femminile. Ecco cosa dicono le quattro donne al vertice dei rispettivi atenei

Costanza Francesconi, Camilla Gargioni, Pietro Tallandini
Chiara Leardini
Chiara Leardini

Le voci di quattro donne, alla guida di quattro atenei del Nordest, si possono riassumere in una frase: «Essere elette rettrici non è più un’eccezione, ma è nell’ordine delle cose». Come si è arrivati a questo cambio di passo? Verona è l’ultima a essersi aggiunta, pochi giorni fa, scegliendo Chiara Leardini.

«È un onore che mi tocca nel profondo: come donna, come accademica, come parte di una comunità che mi ha formata anche come studentessa e a cui sento di appartenere fortemente», ha detto appena eletta. Per tracciare futuro e prospettive dell’ateneo veronese, preferisce attendere la fine del mandato del suo predecessore, Pier Francesco Nocini.

Il cambio di passo lo raccontano Tiziana Lippiello, alla guida di Ca’ Foscari dal 2020, che guarda alla nuova consapevolezza sulle tematiche di genere che scaturisce innanzitutto dagli studenti. «L’università deve essere un luogo di socialità, siamo un collante», sottolinea. L’anno successivo, nel 2021, la rivoluzione sbarca a Padova: Daniela Mapelli diventa rettrice, la prima in 800 anni di storia.

«Sembrava la norma che il rettore fosse un uomo», afferma Mapelli, «lo stile di leadership è in evoluzione». Appena il 6 maggio scorso, la terza virata al femminile l’ha siglata Trieste con Donata Vianelli, vicentina. «Donne pragmatiche e indipendenti», sottolinea Vianelli, «è la cultura del Nordest».

Daniela Mapelli

Daniela Mapelli
Daniela Mapelli

Prima rettrice alle redini di un ateneo per ottocento anni guidato da magnifici, Daniela Mapelli dal 2021 guida l’Università di Padova.

Rettrice Mapelli, lei ha invertito una rotta lunga otto secoli

«Quando ci si candida vengono votate competenza e strategia di politica universitaria proposte. Pensare di concorre, da donna, quella sì che è stata la prima vera sfida».

Fino ad allora vigeva un no a prescindere?

«Non è che lo statuto vietasse alle donne di ambire al ruolo ma queste non vi si affacciavano per un retaggio culturale: sembrava la norma che il rettore fosse un uomo. A Padova, dopo di me, lo hanno fatto altre due. Personalmente, sentivo di potermi assolutamente mettere in gioco».

Ha rivoluzionato il modo di condurre l’ateneo?

«Direi che in assoluto è lo stile di leadership a essere in evoluzione. Schemi più autoritari virano a un’autorevolezza che passa attraverso una grande condivisione. Forse parte di questo cambiamento si deve alla presenza di donne in posizioni apicali, e alla voce data ai loro punti di vista prima silenti».

In diplomazia si parlerebbe di soft power

«Credo che la gentilezza possa pagare senza perdere di credibilità e spessore, quanto trovo fondamentale investire nel benessere lavorativo dei propri collaboratori, base per la qualità dei servizi erogati all’esterno».

Nella sua carriera accademica, ha dovuto dimostrare di più dei suoi colleghi?

«È possibile, ma senza che me ne accorgessi. Fin da piccole cresciamo sapendo di dover essere molto brave e questo meccanismo entra in noi. Un esperimento che trovo significativo racconta di un annuncio di lavoro per un ruolo manageriale e cinque credenziali richieste. Dai curricola spediti è emerso come le donne avessero fatto domanda solo se in possesso di tutti requisiti, gli uomini no».

La sua è una squadra di prorettori con una perfetta parità di genere: è un caso?

«Una volta eletta ho scelto ciascuno basandomi esclusivamente sulle competenze e attitudini dei singoli. Per ironia è nato un equilibrio perfetto, equidistribuito tra donne e uomini di cui potermi al pari fidare e a cui poter delegare: un elemento essenziale in una struttura complessa com’è l’università».

Cosa sente di lasciare in dote al Bo?

«Dal 1222 siamo cresciuti con rettori uomini. Chi si laurea in questi anni riceverà un certificato firmato da una donna, e lo riterrà normale. Ecco, trovo che siano queste le cose più importanti. La parità di genere, invece, l’avremo raggiunta veramente quando una rettrice donna non farà più notizia».

(Costanza Francesconi)

Tiziana Lippiello

Tiziana Lippiello
Tiziana Lippiello

Tiziana Lippiello, docente di Cinese classico, è alla guida di Ca’ Foscari da settembre 2020.

Rettrice Lippiello, anche Verona ha scelto una rettrice, è un bel segnale.

«La notizia positiva è che non sia più un’eccezionalità, ma nell’ordine delle cose. Non era scontato, prima. Restano però difficoltà».

Quali?

«Molte donne non osano intraprendere questa carriera perché sono consapevoli di quanto sia faticoso: la gestione familiare, ancora oggi, è prevalentemente nelle loro mani. È una questione culturale del nostro Paese».

Come è stato iniziare cinque anni fa? Ha incontrato difficoltà in quanto donna?

«No, non in ambiente universitario. Anzi, non solo c’è consapevolezza che ci sia un cambio, nella mia esperienza alla Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) c’è molta attenzione e ascolto».

In altri ambienti è andata diversamente?

«Sì, non è scontato trovare lo stesso atteggiamento che c’è negli atenei fuori, nel mondo esterno. Anche nella mia esperienza è successo».

Negli atenei che prospettive si stanno tracciando?

«L’attenzione alla parità di genere è massima, in Crui abbiamo una delegata dedicata, la rettrice dell’università di Messina Giovanna Spatari. Ne discutiamo non tanto rispetto al ruolo di rettore, quanto per iniziative a favore delle giovani donne e ricercatrici».

Negli studenti vede una nuova consapevolezza su questi temi?

«Certo, c’è consapevolezza. Il fatto che ci siano sempre più rettrici è un segnale di incoraggiamento, significa che non bisogna fermarsi perché si hanno limiti familiari o strutturali».

Riesce a insegnare?

«Quest’anno terrò un modulo, stare con gli studenti è uno stimolo. Appena eletta ho continuato a insegnare, poi mi sono resa conto che il rettorato assorbiva completamente e ho dovuto smettere».

Ca’ Foscari ha diverse iniziative per sensibilizzare alla parità di genere.

«Sì, abbiamo anche ottenuto la certificazione per la parità di genere, oltre a promuovere iniziative come il progetto Lei per favorire l’occupazione, o borse di studio dedicate per favorire l’iscrizione delle studentesse alle discipline Stem.

Se da un lato c’è una nuova consapevolezza, dall’altro ci sono nuove forme di violenza. Che cosa può fare l’università?

«Fare quello che sa fare: coinvolgere i suoi studenti, promuovere il dibattito, spingerli a parlare e denunciare. L’università è e deve essere un luogo di socialità: siamo un collante»

(Camilla Gargioni)

Donata Vianelli

Donata Vianelli
Donata Vianelli

Donata Vianelli, vicentina, professoressa ordinaria di Economia e Gestione delle Imprese, il 6 maggio è stata eletta rettrice dell’Università di Trieste, prima donna in cento anni di storia a ricoprire questo incarico.

Rettrice Vianelli, perché il cambiamento parte proprio dal Nordest con ben quattro donne rettrici?

«Qui, tradizionalmente, c’è una base imprenditoriale in cui le donne hanno sempre svolto un ruolo importante. Pensiamo alle tante imprenditrici che ci sono in Friuli Venezia Giulia e in Veneto, donne che hanno lavorato tutta la vita. Un esempio su tutti? Giannola Nonino, figura ormai iconica. Tutti devono lavorare allo stesso modo, c’è una mentalità che non fa differenza di genere e viene trasmessa di generazione in generazione».

Insomma, è una questione di Dna territoriale?

«È la cultura del Nordest. Donne pragmatiche, indipendenti, impegnate, decise a rimboccarsi le maniche sul lavoro e in famiglia. Questo si riflette anche nei nostri atenei che sono molto legati al territorio. Così, non sorprende che da noi le donne siano più portate, per mentalità, a candidarsi. Tra l’altro a fare da apripista a livello nazionale è stata Cristiana Compagno, rettrice a Udine già nel 2008, anche lei molto legata al mondo dell’imprenditoria. Il Nordest dovrebbe essere orgoglioso di noi: stiamo aprendo la strada a tante aspiranti rettrici che si candideranno negli atenei italiani».

Numeri alla mano, però, resta ancora tanto da fare: a Trieste, ad esempio, solo il 20% dei docenti ordinari è donna…

«Per arrivare a un vero equilibrio ci vorranno anni. Non va dimenticato che l’ateneo triestino ha una forte connotazione scientifica e c’è una percentuale minore di donne per le lauree Stem. Ma un miglioramento ci sarà. Con il mio predecessore Roberto Di Lenarda sono state avviate iniziative per contribuire a rafforzare la rappresentanza femminile e nei prossimi anni avremo sicuramente più donne tra i docenti».

Cosa si può fare per aiutare le giovani ricercatrici che puntano a intraprendere la carriera accademica, a Trieste come nel resto d’Italia?

«La parola d’ordine è: servizi. Offrire maggiori servizi di supporto alle donne che lavorano, come succede in Francia e nel Nord Europa. In Italia, siamo ancora molto indietro. Poi, credo che sia utile anche mettere in evidenza e condividere le esperienze positive delle donne che sono riuscite a conciliare carriera e famiglia. Anche noi rettrici, certo. Perché è importante che le giovani siano consapevoli che si possono raggiungere traguardi altissimi senza rinunciare ad essere pienamente donna».

(Pietro Tallandini)

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