Matematica: il divario maschi-femmine non è innato. La scienza svela come (e perché) nasce a scuola
L'idea che le bambine non siano portate per la matematica è uno stereotipo duro a morire. Ma un nuovo studio rivela che il divario con i maschi non è innato, ma nasce e cresce proprio a scuola, già sui banchi delle elementari. La professoressa dell’Università di Padova Treu: «Il cambiamento è in atto, ma lentissimo»

«Le femmine non sono portate per la matematica, fatele studiare la Storia o la letteratura, ma non parlate di numeri». Quante volte l'abbiamo sentito dire? E quante ci abbiamo creduto, anche solo un po’? Magari confrontando i voti tra compagni di classe, quelli dei nostri figli o nipoti. O, più semplicemente, osservando i dati dei test Invalsi.
Perché sì, i risultati lo confermano: i ragazzi, in media, ottengono punteggi più alti in matematica rispetto alle ragazze, gli uomini hanno mediamente una maggiore probabilità di intraprendere professioni legate a questa materia.
Eppure, all’inizio del percorso scolastico le differenze sembrano non esserci. Le bambine contano, risolvono, ragionano con la stessa curiosità e padronanza dei compagni maschi. Ma col passare del tempo - e ne basta poco - qualcosa cambia: nei test standardizzati, nei voti, nella fiducia in sé. La matematica smette di sembrare una lingua anche loro. E non è un problema di attitudine, né di talento innato.
A dirlo è un ampio studio condotto in Francia e pubblicato su Nature l’11 giugno 2025. La ricerca ha coinvolto quasi tre milioni di alunni tra i 5 e i 7 anni e ha rilevato che il divario di genere in matematica inizia a manifestarsi già durante il primo anno di scuola primaria. Dopo appena quattro mesi, i voti dei maschi superano quelli delle femmine. E il divario continua a crescere entro la fine dell’anno scolastico. Una tendenza trasversale, osservata in tutte le regioni del Paese, in ogni tipo di scuola e fascia socioeconomica.
In Italia
Anche in Italia il divario si manifesta precocemente e con intensità crescente, confermando che il problema non è contingente ma strutturale.
Secondo il rapporto Invalsi 2025, infatti, già alla fine della seconda primaria le bambine ottengono risultati inferiori ai coetanei maschi di 3,6 punti percentuali, nonostante si tratti di una prova somministrata dopo soli due anni di scolarizzazione.
Il divario cresce progressivamente: alla quinta elementare il distacco è di 6,5 punti, e alla fine della scuola superiore le ragazze registrano punteggi mediamente più bassi di 7,6 punti, l’equivalente di quasi un anno scolastico di apprendimento in meno.
Perché
La domanda, a questo punto, è inevitabile: perché? «Qualsiasi studioso evidenzierebbe almeno tre fattori», risponde Luca Trappolin, ricercatore e professore aggregato di Sociologia all'Università di Padova.
Il primo riguarda ciò che accade prima ancora di entrare a scuola: «Anche se le performance iniziali sono simili, il punto di partenza non è neutro. Bambini e bambine arrivano già con attitudini diverse, costruite in famiglia e nei percorsi prescolari».
Trappolin fa riferimento a studi condotti in Italia che mostrano come, già nella scuola dell’infanzia, il meccanismo di incoraggiamento sia differenziato: «Gli educatori - soprattutto educatrici - tendono a premiare le bambine per abilità linguistiche o creative, mentre i bambini vengono spinti verso le attività logico-matematiche. Non è che si impedisca alle bambine di amare la matematica, ma si incoraggiano altre inclinazioni».
Secondo il sociologo, lo stereotipo per cui il ragionamento logico sarebbe una prerogativa maschile è ancora molto radicato nella nostra società. E non lo interiorizzano solo bambini e bambine: «Anche gli insegnanti lo assorbono, spesso in modo inconscio, contribuendo a rafforzarlo».
È così che le bambine iniziano a fare proprie certe aspettative sociali. Interiorizzano l’idea che i numeri non siano affar loro. E questo, insiste Trappolin, non ha nulla a che vedere con la biologia: «Parliamo di predisposizioni socialmente costruite, non di differenze innate nei cervelli».
C’è poi un problema di interpretazione dei dati: «I risultati Invalsi, spesso usati per giudicare le performance degli studenti, dovrebbero servire invece a valutare l’efficacia dei processi di insegnamento». E non è secondario che la scuola dell’infanzia, dove si formano le prime abitudini cognitive, sia composta quasi interamente da educatrici donne.
Il rapporto Invalsi sottolinea la necessità di «adottare misure adeguate già dai primissimi anni di scuola», riconoscendo che un divario così precoce richiede interventi mirati su più livelli: didattico, culturale e sociale.
Cambiamento lento
Qualcosa, però, si muove. Negli ultimi anni sono stati avviati diversi progetti nelle scuole dell’obbligo per avvicinare le studentesse alle materie Stem (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). Ma il percorso verso la parità è ancora lungo. «Ci vorrà molto tempo per raggiungerla, è un processo lentissimo», testimonia Giulia Treu, professoressa del dipartimento di Matematica dell’Università di Padova.
Treu racconta che sono stati compiuti sforzi significativi per coinvolgere gli studenti delle scuole, anche se quando si dialoga con studentesse dei licei, spesso le loro scelte scolastiche sono già state fatte: «La scuola impone alle famiglie una scelta importante, sicuramente condizionata da stereotipi e pregiudizi su quello che dovrebbe essere il ruolo di una futura donna o di un futuro uomo nella società. Finché continuiamo a parlare a ragazzi più grandi, il bacino è già limitato».
Per questo, dice, negli ultimi anni l’attenzione si è spostata verso gli studenti delle scuole medie. Ma, in generale, ammette, «non è facile capire come intervenire». A suo avviso, servirebbe un impegno più ampio, che coinvolga l’intera società.
Secondo la docente, uno dei principali ostacoli è la percezione comune delle materie scientifiche, spesso considerate «difficili, aride e troppo tecniche». «È importante diffondere l’idea che sì, queste materie sono complesse, ma racchiudono anche una grande creatività», sostiene.
Riflettendo sulle difficoltà culturali, aggiunge che «ci sono stereotipi così profondamente radicati nella nostra cultura che spesso noi donne fatichiamo persino ad accorgercene».
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