Centri antiviolenza dove insieme la paura diventa coraggio

A Padova in una delle strutture che accolgono il grido di allarme delle donne abusate. Mariangela Zanni, la responsabile: «Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha scoperchiato un vaso strapieno. Ascoltiamo richieste di aiuto che provengono da ogni fascia d’età: da giovanissime come da over 65. Storie difficili in continuo aumento»

Alessia De Marchi
Le professioniste del Centro Progetti Donna del Veneto con sede a Padova
Le professioniste del Centro Progetti Donna del Veneto con sede a Padova

C’è una casa dove le mani si alzano per stringere alleanze, regalare una carezza, asciugare lacrime e non certo per picchiare, dove le urla e i pianti lasciano il posto a parole sagge e speranza. C’è una casa abitata da donne che accoglie donne. Qui si condividono storie dure e difficili ed è proprio nel dialogo che la vita pare prendere nuove strade. In un tempo in cui sembra non esserci argine alla cieca follia di uomini violenti che si abbatte su fidanzate, compagne, mogli, ex. …,  c’è uno spazio in cui cercare e trovare protezione. Succede, anche se gli strumenti a disposizione contro questa guerra quotidiana sembrano talvolta spuntati: braccialetti elettronici che non funzionano come dovrebbero; stalker che tornano a minacciare; forze dell’ordine e servizi pubblici dedicati che si scoprono loro malgrado impotenti davanti a un fenomeno che dilaga invece che contrarsi.

Abbiamo incontrato Mariangela Zanni, da 15 anni responsabile di questa casa: il Centro veneto Progetti Donna con sede a Padova, uno dei tanti distribuiti in tutto il Nord Est. Laurea in diritti umani e comunicazione, guida un gruppo composto da una quarantina di professioniste, formate per essere in prima linea contro la violenza di genere. Donne per le donne, un segnale concreto di quanto sia uno stereotipo la convinzione che non esiste solidarietà al femminile.  Il telefono del centro squilla dal lunedì al venerdì con una copertura quotidiana di 12 ore. Risponde al numero verde 800814681. Il centro è aperto dalle 9 alle 17.30.

1.225 sono state le richieste di aiuto dal primo gennaio al 31 ottobre 2025. Non tutte, ma un buon 70 per cento è sfociato in percorsi di tutela condivisi con le operatrici del centro: psicologhe, psicoterapeute, esperte in diritti umani, avvocate, …

«E le richieste  sono in continuo aumento di anno in anno», osserva Zanni. 

Partiamo dall’inizio, Zanni, come si accede al centro?

«Ci sono varie modalità: la richiesta diretta al nostro servizio tramite un primo colloquio telefonico, la segnalazione in arrivo dalle forze dell’ordine che intercettano situazioni di violenza, l’invio da parte del Pronto soccorso a cui la vittima si è rivolta oppure da parte di servizi sociali, consultori o istituzioni analoghe. E’ il primo passo. Segue un colloquio direttamente in sede con almeno una delle nostre operatrici nel quale si definisce insieme alla vittima il percorso migliore da seguire che, in casi di pericolo ritenuto alto, può portare all’immediata accoglienza in strutture protette».

Com’è cambiata la percezione della violenza di genere?

«15 anni fa, quando ho iniziato, era un tema scomodo, sembrava relegato al mondo del disagio fosse questo psichico, economico, di dipendenza, … Era considerato un fenomeno marginale. Poco prima era intervenuta nel 2009 la Legge Carfagna che conteneva le prime misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, contrasto alla violenza sessuale e stalking. Poi nel 2013 è entrata in vigore la legge sul femminicidio e la violenza di genere, nel 2016 è nato il movimento Non Una di Meno. Dirompente è stato sicuramente  il femminicidio di Giulia Cecchettin nel 2023: una sorta di terremoto che ha scosso coscienze e accresciuto la sensibilità verso un fenomeno divenuto emergenza. Ci siamo scoperte tutte più fragili, più esposte alla violenza. Sono aumentate in maniera esponenziale le chiamate al nostro numero verde. Non solo: istituzioni scolastiche, aziende, la società intera, tutti ci siamo sentiti chiamati in prima fila a far fronte a un’urgenza. Segnali importanti di disagio erano arrivati anche durante il Covid, quando la convivenza forzata dai lockdown aveva esasperato situazioni al limite. La vicenda di Giulia ha scoperchiato un vaso stracolmo di soprusi, abusi e violenza, prima taciuti e, nel silenzio delle quattro mura domestiche, nascosti e tollerati».

Quali sono le donne che chiedono aiuto?   

«Se all’inizio le più rappresentate erano quelle tra i 30 e i  50 anni con figli minori, oggi il fenomeno della violenza è davvero trasversale. A noi si rivolgono giovanissime, ragazze con meno di 25 anni, ma anche donne anziane, over 65 che trovano la forza di confessare, prima di tutto a se stesse, di essere vittime di violenza. Il tutto grazie alle numerose campagne di sensibilizzazione condotte in questi anni. La violenza non distingue categorie sociali o professionali. Incontriamo donne con tante paure alle quali dobbiamo, insieme, restituire autostima e soprattutto la forza di decidere. I colloqui ci svelano storie di vita difficili, relazioni malate che ci toccano emotivamente nel profondo. Ed è per questo che nel nostro gruppo di lavoro sono previsti momenti di condivisione e confronto settimanali tra noi operatrici. Il nostro è per tutte il luogo del rispetto, non del giudizio».

Che cos’è oggi violenza?

«Ogni situazione che genera disagio, sottomissione, impotenza. Se la violenza fisica intesa come abuso sessuale è quella che si spaventa, non dobbiamo sottovalutare quella psicologica: il catcalling, il ricatto economico, l’abuso di potere,… Siamo tutte potenzialmente a rischio ed è questo che rende importante e forte l’alleanza tra donne».

“Codice rosso”, la legge del 2019,  ha introdotto nuove misure di prevenzione e tutela come il braccialetto elettronico. Ma l’onda di violenza continua. Misure non sufficienti?

«Misure utili, ma il cammino da fare è ancora tanto e in salita. Il braccialetto elettronico ha dimostrato spesso di non essere uno strumento adeguato sia per il cattivo funzionamento ma anche per il principio che sottende. Attribuisce alla vittima la responsabilità di gestire chi la minaccia. Genera ansia continua. Certo, la vittima deve collaborare, ma andrebbe messa anche nella condizione di vivere una vita “normale”, com’è giusto che sia. C’è molto da lavorare: occorre insistere sulla creazione di reti di supporto, bisogna puntare sulla formazione, sull’informazione, sulla sensibilizzazione».

Esiste una geografia della violenza ovvero una differenza in base alla città,  al luogo in cui si vive?

«I fatti di cronaca ci dicono di no».

Essendo voi donne in prima linea avete mai subito a minacce per il vostro operato?

«Sì, succede. Due anni fa, per esempio, avendo condiviso sui nostri profili social un post di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, abbiamo subito uno shitstorm sul web. Qualcuno ha addirittura minacciato di radere al suolo il nostro centro. Abbiamo ricevuto minacce da parte di mariti violenti: “Vi brucerò casa”, ci hanno assicurato. Il nostro centro ha adottato misure di sicurezza per tutelare il nostro lavoro e la nostra incolumità: è vigilato da telecamere e chiuso a chiave».

Vi occupate di violenza sulle donne, ma esiste anche  il contrario ovvero uomini che subiscono abusi da donne? 

«La violenza domestica di donne su uomini è registrata nei paesi anglosassoni con un’incidenza comunque non comparabile a quella di uomini su donne. Un rapporto Istat ha fotografato nel nostro Paese casi di violenza subita da uomini da parte di altri uomini sotto forma di abusi di potere sia fisico che psicologico. Non da parte di donne».  

 

 

 

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