Bruna Graziani: «La parola che cura: così abbiamo creato il festival letterario»
Lavorava come farmacista, si è inventata a Treviso una rassegna di successo: «Il benessere degli altri è il ponte tra i miei due mondi, scientifico e creativo»

Bruna Graziani, lei inizia con una formazione scientifica come farmacista e passa poi al mondo della cultura, nel frattempo con una seconda laurea in materie umanistiche. Cosa voleva fare da grande?
«A 5 anni sapevo che avrei fatto la farmacista. Mio padre aveva dovuto interrompere gli studi in Farmacia a causa di una malattia. Io sentivo di dover chiudere il cerchio, è la mia visione olistica della realtà. Ma in famiglia ho sempre danzato tra due poli. Quello analitico e scientifico di mio padre e quello creativo di mia madre, grande affabulatrice con uno straordinario talento per la fiction. Le tante storie “vere” che raccontava, con finali strabilianti, e mille varianti, sono state il mood della mia infanzia».
Due mondi apparentemente distanti. È la cura il ponte che li unisce?
«In farmacia venivano persone che a volte si sentivano curate anche solo grazie a una parola. È il potere di un certo tipo di comunicazione, del linguaggio, dell’empatia. Essere ascoltati ti conferma al mondo, uno dei bisogni fondamentali della vita. E sì, la cura è la mia dannazione. Ho bisogno che tutte le creature che stanno attorno a me e a cui tengo stiano bene, umane o animali che siano».
Lei, 18 anni fa, ha creato Il Portolano, la scuola di scrittura autobiografica e narrativa. Perché insegnare la scrittura e perché proprio l’autobiografia?
«L’autobiografia è uno strumento formidabile di autoanalisi, fa emergere aspetti sconosciuti che con la scrittura sbocciano. Non si può insegnare, solo dare strumenti, spunti da cui partire per ricostruirsi, generare un altro da sé, più accettabile. A fare la differenza è la scrittura, questa ineffabile entità che trasforma e da cui si viene trasformati. Quando ne ho capito l’importanza, ecco è stato allora che ho voluto mettere a disposizione la mia esperienza. Ero entusiasta. E siccome sono una che quando crede in una cosa si butta a capofitto, mi sono buttata».
Poi l’asticella si è alzata ed eccola lanciare a Treviso un festival di libri in un Paese che legge poco. Ama le sfide? È quel certo “stay foolish” di Steve Jobs?
«A Treviso non c’erano eventi letterari all’epoca. E questo manipolo di incoscienti un bel giorno fa un pensiero: “Non c’è un festival, facciamo un festival”. Non mi sveglio al mattino dicendo “beh oggi ho proprio voglia di una bella sfida”. Più semplicemente nutro l’idea che si è già aggrappata con radici cocciute nello stesso momento in cui è germogliata. CartaCarbone è nato così. Mi succede anche nella vita privata. Pare io affronti delle situazioni un po’ surreali. Nessuna sfida. Seguo un istinto forte e non penso alle conseguenze: devo andare. Sono “foolish” senza saperlo? È un’altra interpretazione di un concetto citato da molti: “un pesce non sa nulla dell’acqua in cui nuota”. Perciò non la puoi temere. E io ho nuotato nelle acque, anche piene di correnti, che mi hanno chiamato».
Come è stato mettere in piedi CartaCarbone a Treviso? L’ostacolo superato che temeva insormontabile e il sostegno insperato che riteneva inimmaginabile.
«All’inizio non avevamo niente, non sapevamo niente. Ma organizzare un festival è molto complesso. Devi pianificare service, grafica, comunicazione, stabilire contatti con case editrici, agenzie, autori. Il Portolano aveva ospitato scrittori che sono diventati amici. Tiziano Scarpa mi ha dato una mano, ha portato Ammaniti ed è arrivato Mauro Corona. Per gli sponsor abbiamo mobilitato parenti, amici e le istituzioni. I primi volontari erano quasi tutte persone che avevano frequentato i miei laboratori. Meraviglioso sentirsi avvolgere e proteggere da quell’abbraccio. Lavoravamo venti ore al giorno. Non ci siamo rese conto di come, ma alla fine ce l’abbiamo fatta».
E avete avuto subito riscontri.
«Forse a Treviso si sentiva il bisogno di storie, racconti, letteratura. È andata bene al primo colpo. Ma abbiamo capito fatiche e prospettive. Ripeto, è difficile che io mi scoraggi e non temo le situazioni difficili. Il mio motto è “a tutto c’è rimedio”. Se qualcosa va male, pazienza, non casca il mondo. Mi rendo conto che abbiamo fatto cose importanti: cercando un dato nel sito del festival, mi si è aperta la pagina degli ospiti. E mi sono detta, caspita, ma davvero abbiamo portato tutta questa bella gente? In quel momento, l’acqua l’ho vista eccome. Circa 2000 ospiti su centinaia di eventi. Credo sia una cosa di cui andare fieri».
L’essere donna ha reso più difficile il percorso?
«Non ne ho idea, il percorso l’ho fatto senza pensare a questo. Qualcuno mi chiama ‘la generalessa’, ma mica mi rendo conto di esserlo, non ne sono affatto sicura. Ho sempre cercato di costruire un programma equilibrato tra scrittori e scrittrici. Non è stato semplice. Le scrittrici, all’inizio, erano meno esposte, meno visibili, e si muovevano con maggior difficoltà, spesso impegnate nella cura, a risolvere situazioni familiari. Ora le cose sono cambiate. Il segnale, che per noi è stato un punto fermo, sommato ad altri, ha contribuito a una maggiore armonia».
Non si sottragga: l’ospite che le ha lasciato il miglior ricordo e quello che non inviterebbe più.
«Rispondo solo se risponde lei a una domanda: faccia il nome dei colleghi con cui non andrebbe a cena».
.... (silenzio).
«Ecco, vede? Non faccio nomi, ricordo solo uno scrittore che si offese perché il suo evento era stato programmato per le 19, in orario aperitivo secondo lui, e scrisse un articolo polemico. Ci rimasi male, ma non per questo ho smesso di leggere i suoi libri che considero bellissimi».
CartaCarbone, Pordenone legge, la Fiera delle Parole di Padova. C’è il pericolo anche nel mondo dei libri di quell’effetto blockbuster, iniziative di intrattenimento anziché culturali, che Tomaso Montanari ha contestato a certe mostre e in particolare a Marco Goldin?
«Non esiste una verità assoluta, ci sono i pro e i contro in tutte le cose. Goldin ha portato a un pubblico vasto una cultura destinata altrimenti a essere seguita e apprezzata da pochi. Ha così permesso a qualcuno di sviluppare una passione che magari non ci sarebbe mai stata».
Finanziamenti e sostegno alle iniziative culturali. Come siamo messi nel territorio?
«Questo festival è un regalo alla città. Autori, lettori e attività commerciali si incontrano in uno scambio vitale, la comunità si arricchisce di prestigio e bellezza. Ci piace pensare che questo modello virtuoso – sostenuto da volontari che dedicano tempo e competenze senza chiedere nulla in cambio – possa ispirare una riflessione più ampia. Perché la cultura, quando è viva, diventa il tessuto che tiene unita una società. E chi ha il potere di custodire questo bene comune, sa che anche il gesto più piccolo può alimentarne la fiamma».
Ci sono comunque gli sponsor.
«È tra le questioni principali. Devi pagare gettoni, ospitalità, service, grafica, comunicazione. I tempi poi sono cambiati. Lo sponsor chiede che gli venga riconosciuta la presenza in modo concreto, com’è giusto che sia, vuole che si costruisca qualcosa insieme, cosa che richiede un impegno ancora maggiore».
Un nome per tutti nel panorama letterario veneto.
«Vitaliano Trevisan. Ma ce ne sono molti altri»
Il libro che ha ora sul comodino?
«Il diavolo in bottiglia di Cino Boccazzi, autore che merita una riscoperta. Poi l’Imprevedibile viaggio di Harold Fry. E l’inarrivabile, eterno Anna Karenina».
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Chi è
Bruna Graziani è laureata in Farmacia e poi in Letteratura Arte Musica Spettacolo, con una tesi di Neuronarratologia. Editor e direttrice di Carvifoglio, collana di narrativa contemporanea per Ronzani editore. É titolare della scuola di scrittura Il Portolano, direttrice artistica di CartaCarbone festival letterario. Per Kellerman, ha pubblicato: Desperate Writers, manuale per scrittori irriducibili, Il personaggio, prove temerarie di costruzione e Il racconto breve. Una galassia in palmo di mano. Per Editrice Bibliografica, ha pubblicato Dall’idea al romanzo-il trasporto narrativo. “Trevigiana dell’anno” (2018) per meriti culturali.
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