Alessandra Bianchi: «Calcio e compensi, serve una regolata per la sostenibilità»

Amministratore delegato del Calcio Padova dal 2017, ha contribuito in questa stagione alla conquista della B: «Ci ho messo tanto impegno. E soprattutto gli interessi dell’azienda davanti a tutto, a costo di essere antipatica»

Sabrina Tomè
Alessandra Bianchi in un ritratto di Jatosti
Alessandra Bianchi in un ritratto di Jatosti

Il Padova in B. Ci racconti il festeggiamento più pazzo che ha fatto.

«Ho festeggiato in diverse occasioni: con la squadra, con la società, con i tifosi. Ma senza pazzie. Mi ha fatto invece piacere farlo con la mia famiglia perché sono sei anni che mi sopporta: sopportano la mia assenza quando sono a Padova e la mia presenza quando sono a casa e sono nervosa per le partite».

Anche i figli sono tifosi del Padova?

«Lo sono diventati, sono venuti anche loro a Lumezzane e alla festa promozione. È stato bello gioire insieme».

Virginia Woolf diceva che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. Parafrasandola possiamo dire che, con lei amministratore delegato del Calcio Padova, davanti a grandi uomini c’è sempre una grande donna?

«Non mi reputo una grande donna, lo dico senza falsa modestia. Cerco nel mio piccolo di fare il massimo per la società».

Però la B è arrivata con lei.

«Da quando sono qui è stato un lavoro molto intenso, un cammino lungo e difficile che ci ha portato a queste soddisfazioni. Sicuramente avrò sbagliato in più di una occasione, spero di aver fatto tesoro dei miei errori. La gioia grande è stata certamente la conquista della serie B, ma anche l’aver creato una squadra forte e coesa con Peghin e con gli altri soci. E l’aver creato un rapporto con i tanti partner che ci sostengono sempre più numerosi».

Qual è la specificità che ha portato?

«Sicuramente l’impegno. E l’essere aziendalista al 100%, mettendo gli interessi dell’azienda sempre davanti a tutto, anche a costo di risultare antipatica, poco diplomatica o non nelle grazie di qualcuno. Però l’importante è fare gli interessi dell’azienda a prescindere da tutto».

Come si è avvicinata, laurea alla prestigiosa Bocconi ed esperienza nella finanza, al mondo del calcio?

«Proprio partendo dalla mia esperienza nella finanza. Oughourlian mi ha chiesto di guardare a questa opportunità prima come analista, poi come sua rappresentante in consiglio di amministrazione e successivamente come amministratore delegato quando nel 2019 abbiamo acquisito la maggioranza del club. Ma è un percorso, quello dalla finanza al calcio, che molti fanno».

Molti uomini forse. Per la donna è più accidentato?

«Per un donna è sicuramente più difficile mettere insieme tutto, famiglia e lavoro. Però ho sempre avuto il piacere di lavorare e non mi sono mai preoccupata di questo. Ho pensato a fare il mio».

Ed è approdata al mondo del calcio, ambiente prettamente maschile.

«All’inizio un po’ di adattamento c’è stato, come ogni volta che si affronta un settore diverso da quello da cui si proviene. Poi le cose sono andate bene. Se uno parla con il lavoro le cose vengono da sè».

Nessuna difficoltà neppure con i calciatori?

«A Padova manteniamo un’organizzazione ben definita, con dei ruoli specifici. Per cui sì, interagisco con la parte sportiva, ma c’è un direttore sportivo che se ne occupa. Com’è giusto che sia. Il mio ruolo è quello di tirare i fili cercando di far funzionare la macchina al meglio, e non quello di parlare con i giocatori. Si tratta di ruoli diversi e il mio non si sovrappone con quello tecnico. Bene il confronto, no alla confusione. Le figure societarie che si mettono a parlare con i calciatori creano sempre un effetto bar sport che, secondo me, non è corretto».

Come mai le società calcistiche sono sempre più a gestione straniera, venete comprese?

«L’aumento e la diffusione delle proprietà straniere non riguarda solo il calcio italiano. L’Italia è un terreno particolarmente fertile per questo tipo di investimento perché ci sono valorizzazioni da un lato e prospettive dall’altro che lo rendono particolarmente attrattivo. Ciò che muove spesso è l’interesse verso l’entertainment e verso la dimensione infrastrutturale. E in Italia c’è grande potenzialità. Ma serve lavorarci tanto e non è del tutto scontato arrivarci. Una proprietà straniera che si approccia al mondo del calcio italiano deve considerare che si tratta di un mercato molto particolare, bisogna coglierne le dinamiche e non sempre i risultati arrivano al primo tentativo. Occorre avere una visione solida e un progetto di lungo periodo».

A cosa bisogna fare attenzione in particolare?

«In Italia c’è molto da fare sul fronte infrastrutturale e non sempre si riesce a farlo nei tempi che una proprietà straniera può avere in mente. Una proprietà porta una visione che deve essere calata nella realtà, integrata con tutti gli altri stakeholder. Le realtà che funzionano bene sono quelle in cui si crea questo circolo virtuoso».

Parliamo di strutture e della travagliata vicenda dell’Euganeo. Chi è e cosa ha sbagliato?

«Ci sarebbe molto da dire, difficile sintetizzarlo in poche parole. E i giornali non sono la sede corretta. I rapporti tra società sportiva e amministrazione comunale sono a tanti livelli e particolarmente complessi».

E i rapporti con i tifosi?

«È innegabile che sia stato un anno particolarmente complicato. Riprendo le parole del mister all’indomani della promozione: l’augurio è che questa promozione possa essere elemento di unità e che riporti l’armonia che mi auguro si potrà ricostruire»

Restiamo sul tema strutture: come siamo messi per le giovanili?

«Abbiamo fatto un ottimo lavoro e i risultati lo dimostrano. Abbiamo un numero elevato di tesserati, oltre 600 e tanti collaboratori che li seguono. Rispetto alle strutture siamo distribuiti su molti campi diversi, abbiamo affrontato più volte il tema infrastrutturale che ora andrà traguardato. Speriamo che la promozione ci dia l’orizzonte giusto. Noventa Padovana è un esempio, fa vedere che quando ci viene data la possibilità di lavorare su una struttura ci lavoriamo bene. Ed è nostra intenzione continuare a farlo».

Compensi folli ai calciatori: quanto mettono in difficoltà i bilanci delle società? E, comunque, lo trova etico?

«Ancora prima che etica, è una questione di sostenibilità in termini di costi e ricavi. È un tema che si sta ponendo sempre più insistentemente nel nostro sistema calcio. Le risorse vanno riducendosi, c’è anche un tema di diritti televisivi calanti. Come Padova abbiamo avviato una strategia tesa proprio alla sostenibilità, a cercare di bilanciare i costi con le entrate, evitando passi più lunghi della gamba o rischi che non possiamo assumere. Diverse altre squadre seguono il nostro percorso, è un trend irreversibile. In un sistema non equilibrato l’equilibrio in qualche modo deve arrivare».

Non sarebbe più semplice se il mondo del calcio si desse una regolata sui compensi?

«Lo sarebbe, bisogna farlo. Se ne parla da tanto e si può fare se si lavora come sistema. Nel mondo del calcio si tende spesso a guardare alla propria posizione anziché al futuro del sistema nel suo complesso. All’interno del sistema abbiamo tutte le capacità e la visione per fare una cosa del genere. Si tratta di trovare il momento giusto e metterci a lavorare tutti insieme».

Calcio maschile superstar e calcio femminile per pochi appassionati. Se non c’è il gender gap qui...

«Il calcio femminile sta acquisendo sempre maggiore importanza. Va sostenuto ed è più facile per società di grandi dimensioni che non per quelle più piccole del territorio. Ma nei tempi ci si arriverà».

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Alessandra Bianchi è dal dicembre 2017 amministratore delegato del Calcio Padova di cui è stata anche presidente. Laureata in Economia Aziendale alla Bocconi con 110 e lode, ha ricoperto importanti incarichi nella finanza, tra gli altri: in Amber Capital come portfolio manager del fondo private equity Amber Energia, in Capital For Progress, in Bs Investimenti come investment manager di un fondo, in Interbanca, consigliere di amministrazione della quotata Italia Exhibition Group.

Sposata, ha due figli. La sua squadra del cuore, oltre al Padova, è il Milan.

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