Anna Mao, regina della Regata storica: «Tanti sacrifici, ma con la voga ho ritrovato la vita»
Anna Mao si è imposta in uno sport tradizionalmente maschile. Colpita dalla sclerosi, si è subito rimessa in gioco: «Decisivo l’aiuto di mio marito»

Anna Mao, lei è stata incoronata regina della Regata. Quante regate storiche ha vinto?
«Tredici, otto consecutive. Ci siamo fermate nel 2019 per mettere su famiglia. Poi, con Romina Ardit, abbiamo ricominciato a vogare e abbiamo vinto altre cinque volte, seppur non di seguito».
Qual è l’impegno fisico e psicologico in termini di allenamenti e di preparazione mentale per difendere lo scettro?
«Non ho mai difeso lo scettro e quando mi sono fermata lo ho fatto per scelta. È un impegno sia sotto il profilo fisico, perché gli allenamenti portano via due ore al giorno per cinque-sei giorni alla settimana, che mentale. Non avevo il mental coach, non ne sentivo il bisogno trovando dentro di me la motivazione. Così come la consapevolezza del senso del sacrificio»
A proposito di sacrificio, ha dovuto fare molte rinunce per mantenere questi livelli di eccellenza?
«È un impegno che richiede molti sacrifici. Alla sera non si usciva con gli amici, in spiaggia non si andava. Prima di sposarmi e di avere figli si sacrificavano le amicizie, anche se poi le ricreavi all’interno della remiera. Successivamente, invece, il tempo lo si toglie alla famiglia. E così succede che i figli ti dicano che vogliono venire al mare con te e tu non riesci ad accompagnarli. Ecco... oggi mia figlia odia la voga».
I suoi figli non seguiranno le orme dei genitori?
«Mia figlia ha seguito il corso di voga con la scuola ed è molto brava, ma non ne vuole saperne. Dice che in remiera non ci verrà mai. E mio figlio l’anno scorso ha vogato con il papà, con ottimi risultati. Ma solo un anno, poi basta».
Si avvicina settembre con la regata storica, come si sta preparando?
«Mi sto allenando. D’inverno ci prepariamo a terra, in bici e in palestra, in barca una o due volte alla settimana. Ora invece siamo in barca cinque giorni su sette. Siamo in due e bisogna concordare i tempi».
Non è facile coordinare tutto.
«Vero. C’è il lavoro mio, della mia compagna di voga, la mia famiglia, la sua. L’agenda è complessa, ma in realtà volendo si riesce a fare qualsiasi cosa».
Il suo debutto è stato nel ’96, com’è cambiata da allora la Regata storica?
«Una volta c’era molto più interesse da parte dei veneziani, entravi in Canal Grande e cominciava il boato, dalla Salute fino al giro del palo. C’era gente ovunque, il Canal Grande era pieno di barche a remi, un tifo mostruoso, assordante, bellissimo. Adesso le barche che vengono a vedere la regata sono pochissime, tutte concentrate nella parte centrale. Ma dalla Salute a Ca’ Foscari non c’è quasi nessuno. Per chi ha visto la Regata storica prima, ora è una tristezza. È diventata una cosa turistica, dei turisti sopra il ponte o nei posti a sedere».
Cos’è successo?
«I tempi della Regata storica sono molti lunghi. Quando venivano papà e mamma a vedermi entravano in Canale alle 14 e uscivano alle 19, sicuramente orari molto impegnativi. Il dato di fatto è che l’interesse è sceso. E questo dispiace. Ricordo ancora l’emozione che si sentiva entrando in Canale, da pelle d’oca. Dava una carica che ti ripagava di tutti i sacrifici».
Cosa significa per una donna gareggiare e primeggiare in una realtà tradizionalmente maschile?
«All’inizio gli uomini non accettavano di buon grado le donne, anche a noi è stato detto “andate a fare le calza”. Era uno sport prettamente maschile. Ha iniziato a cambiare qualche anno dopo il nostro arrivo. Le donne non andavano più soltanto per il solo corteo, ma è diventato uno sport a tutti gli effetti, con la disciplina, le tabelle, l’allenamento scientifico».
Ci sono stati passi avanti tra uomini e donne nei compensi?
«Un tempo c’era moltissima differenza di premi, abissale, tra uomini e donne. Siamo riusciti a uguagliare i compensi: quelli dei primi sono gli stessi. Ed è cambiato anche l’ordine delle gare. Quella delle donne è diventata la seconda più importante; oggi c’è giovanissimi, caorline, donne e uomini. Anche questo è un riconoscimento. Si è data importanza alla Regata delle donne e quindi alle donne in sè».
Resta qualcosa da fare?
«Se si continua a parlare di differenza tra donne e uomini vuol dire che c’è ancora molto da fare. Quando non se ne parlerà più, allora, vorrà dire che la parità è stata raggiunta».
Ci sono state battaglie per conseguire i risultati?
«Sì, ci sono state. Io non sono stata in prima linea, non mi piace apparire».
Non le piacciono i riflettori?
«Le sfide non le ho mai fatte contro gli altri. Ho visto tante persone vogare contro di me, ma ho sempre avuto rispetto per tutti, senza mai avere paura. Ma, ripeto, quello che faccio lo faccio per me e non mi vanto dei risultati».
Lei, una grande campionessa, è stata colpita dalla malattia, la sclerosi multipla. Una brutta bestia che si può e si deve domare, ha detto.
«L’ho scoperta nel 2019, quando ho perso. Avevo un forte mal di schiena che non mi permetteva di allenarmi e rimasi ferma 15 giorni prima della regata. E poi avevo problemi alla vista. Feci gli esami ed è emersa la malattia. Nel ’20-’21 ho continuato a gareggiare ed abbiamo vinto: era la fase del “sono malata, ma non sono malata” e quindi sì, la malattia c’è ma io sono invincibile. Poi invece mi sono fermata e lì ho iniziato sia psicologicamente che fisicamente ad andare giù. Facevo fisioterapia, riabilitazione, cominciai a sentirmi una malata. Ed entrai in un buco. Per fortuna ho trovato una compagna che mi ha aiutato, e Gigi, mio marito, che mi è stato tanto, tantissimo, d’aiuto. Così sono tornata in barca, che è la mia vita. Ho ricominciato ad allenarmi, ad avere gli stimoli che avevo perso quando mi fermai. Basti pensare che facevo passeggiate brevi eppure sentivo dolori ovunque, mentre in barca faccio 10 km al giorno senza sentire la stanchezza se non quella che è normale provare».
Come sta ora?
«Da quando sono tornata in barca e a fare le gare sto molto meglio, la malattia è stabile. I medici dicono che lo sport è la mia salvezza, più mi muovo e più sto meglio. Nel momento in cui salgo in barca guarisco da ogni cosa. Certo, ci sono momenti no. Manca l’equilibrio e se ci sono onde mi sento in difficoltà, mentre una volta erano il mio forte. Non vedo bene e il caldo mi debilita, ma sono limiti che riesco a gestire e superare. I medici di Verona che mi seguono e che mi hanno salvato, sono contentissimi che faccia sport, non vogliono che smetta. E anche le terapie che seguo le gestiamo a seconda delle necessità, ogni 4 o 6 settimane. Lo sport e la voga mi rendono viva».
Lo sport è diventato riferimento per altre iniziative di prevenzione sanitaria.
«Lo sport ti salva. È vero che sacrifichi molto, ma è qualcosa che ti riempie l’anima».
Suo marito, Gianluigi Fongher, è pure lui regatante: c’è competizione tra le mura domestiche?
«No, anche se ci piace prenderci in giro. Io ho vinto più di lui, lo chiamo il principe. Ma nessuna competizione, siamo complici. Più che mai ora».
Usciamo da casa sua, torniamo in città. Una città sempre meno dei veneziani e sempre più dei turisti. Come mantenere in equilibrio le due cose?
«Io abito al Lido, ma penso vadano tutelati maggiormente i veneziani e le tradizioni veneziane rispetto ai turisti. Faccio un esempio, il vaporetto: non ci sono quelli riservati ai residenti, dobbiamo metterci in coda con i turisti. E per chi va al lavoro è un impegno. E poi: Venezia e Mestre non sono la stessa cosa, Venezia è più fragile e ha bisogno di tutela».
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Chi è
Anna Mao, 48 anni, è la regina del remo, vincitrice di 13 Regate storiche, di cui otto consecutive, insieme a Romina Ardit. La prima competizione alla quale ha partecipato è stata nel ’96. La campionessa veneta vive al Lido con i due figli e il marito Gianluigi Fongher, anche lui regatante e figlio di Giuseppe, che è stato un pilastro della voga veneziana. Anna lavora come maestra d’asilo. Nel 2019 ha scoperto la sclerosi multipla e nel ’21 ha gareggiato con la maglietta dell’Aism. La malattia non l’ha fermata, lo sport invece l’ha aiutata a fermare la malattia.
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