I 45 mesi dello Yacht A nel golfo di Trieste: è costato più di 30 milioni di euro
Il panfilo da record è riconducibile agli interessi dell’oligarca bielorusso Andrey Melnichenko, ma la battaglia legale sulla proprietà prosegue alla Corte di giustizia Ue

Sta trascorrendo le feste in serenità nelle acque del golfo, il gigayacht “A”, ormai parte integrante dello skyline triestino.
Il mega panfilo, dal valore di 530 milioni di euro, per le autorità italiane ed europee riconducibile agli interessi dell’oligarca bielorusso Andrey Melnichenko e della sua famiglia – lui è inserito nella black list degli uomini più vicini a Vladimir Putin – non rientra tra quegli asset russi congelati e negli ultimi giorni al centro del dibattito in Europa, dove ci si è interrogati sulla possibilità di usarli per finanziare l’Ucraina.

Il Sailing Yacht A è, sì, congelato a Trieste – ormai da 45 mesi, a un costo che secondo stime potrebbe superare i 30 milioni per lo Stato italiano – ma senza novità all’orizzonte. Gli asset russi al centro della discussione in Europa sono infatti ricchezze finanziarie: soldi e titoli congelati nelle banche occidentali sin dall’inizio dell’offensiva russa contro l’Ucraina. Nulla cambia invece per i beni non squisitamente finanziari, come il gigante ultra lusso d’acciaio che troneggia in mezzo al golfo, sottoposto a congelamento amministrativo dalla notte tra l’11 e il 12 marzo 2022.
Il parere della Corte di giustizia Ue
Così come nulla cambia, almeno per ora, sul versante giudiziario, visto che dall’Europa si è ancora in attesa di un responso cruciale per il destino della nave. Sì, perché sulla testa di “A” pende una spada di Damocle chiamata Corte di giustizia dell’Ue, che non si è ancora espressa sul ricorso presentato dalla società formalmente proprietaria del gigayacht, la Valla Yachts. Ricorso avanzato per la precisione al Tar del Lazio dai rappresentanti legali della Valla Yachts – lo studio di Roma Saccucci & Partners e lo studio Centonze di Milano – e poi oggetto di rinvio pregiudiziale da parte dei giudici amministrativi italiani alle toghe europee.
La causa gira attorno a una domanda: a chi appartiene realmente la nave a vela più grande al mondo ormai di casa a Trieste? Melnichenko rigetta l’ipotesi che sia un bene a lui riferibile, perché, come aveva dichiarato il magnate, «appartiene a un trust gestito da un fiduciario indipendente».
Invece per le autorità italiane ed europee lo è, nonostante dietro al panfilo vi sia un complesso intreccio di “scatole cinesi”: il gigayacht risulta di proprietà di una società con sede alle Bermuda, la Valla Yachts appunto, che conferisce in un trust gestito da un trustee (una società svizzera).
Aleksandra Melnichenko, moglie dell’oligarca, cui il magnate ha conferito il suo ricco pacchetto azionario, è la beneficiaria discrezionale del trust: potrebbe cioè beneficiare del bene se il trustee (la società svizzera) glielo assegnasse.
Intreccio complicato, ma per le autorità italiane ed europee, alla fine, tutto parte e tutto torna allo stesso punto: ai Melnichenko. È per questo che lo Stato italiano nel 2022 ha disposto il congelamento del bene attraverso il Comitato di sicurezza finanziaria, ed è per questo che la nave per ora non viene “scongelata”. I giudici europei lo hanno ribadito lo scorso marzo, bocciando un altro ricorso del magnate dei fertilizzanti e del carbone, confermando il congelamento del mega panfilo progetto da Philippe Starck e di altri beni.
Tornando all’istanza che ancora attende verdetto, l’avvocato Andrea Saccucci spiega di essere in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia, che «potrebbe arrivare entro i primi mesi del prossimo anno». Con la causa, Valla Yachts chiede lo scongelamento di “A” sostenendo che il bene è di sua proprietà (e non dei Melnichenko).
Il responso europeo potrebbe creare non pochi rompicapi allo Stato italiano, sotto la cui custodia ricade la nave con tutte le sue spese. Se i giudici dovessero stabilire che la proprietà è effettivamente di una società non riconducibile all’oligarca, cosa succederebbe alla nave e quali sarebbero le contromosse dei proprietari davanti al suo mancato utilizzo per così tanto tempo?
Verso i quattro anni nel golfo di Trieste
Nell’attesa “A” resta padrone del golfo – il prossimo 11 marzo taglierà il traguardo dei quattro anni – vigilato via terra e via mare h24 e protetto da un’ordinanza che impedisce a qualunque mezzo non autorizzato di avvicinarsi, droni compresi. Proprio alcuni casi di “abbordaggio” a mezzo drone da parte di curiosi avrebbe fatto rizzare i capelli agli uomini preposti alla sicurezza del mezzo.
Curiosi messi celermente in riga. La gestione della nave è in capo all’Agenzia del Demanio, impenetrabile sul dossier, secretato a livello nazionale. Il direttore Alessio Casci si limita a riferire che «nulla cambia nella gestione e nelle misure di sicurezza sin qui adottate per il bene congelato, visto che hanno funzionato e garantiscono buoni livelli di efficienza».
Una custodia efficiente, ma non gratuita. Quanto costi mantenere “A” ai contribuenti italiani (per equipaggio, manutenzione, carburante, polizze assicurative) è ultra riservato. Secondo diversi addetti ai lavori del settore marittimo ci si potrebbe aggirare tra gli 8 e i 9 milioni all’anno, che diventano più di 30 in 45 mesi. Somme mai confermate ma neppure smentite, e delle quali l’Italia intende chiedere la restituzione a guerra finita per il rilascio della nave.
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