Il procuratore Melillo: «Le mafie silenziose a Nord Est, serve una nuova strategia»

Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo lancia l’allarme: «Conflitti, cyber attacchi e infiltrazioni mafiose richiedono un approccio integrato e nuove risposte condivise»

Enrico Ferro
Procuratore Melillo: "Mafie silenziose al Nord Est"
Procuratore Melillo: "Mafie silenziose al Nord Est"

Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia e anti terrorismo, nel convegno di PadovaLegge si parlerà di “ricerca di nuove sicurezze”. Può spiegare il senso e gli obiettivi?

«Credo sia importante riconoscere la necessità di una strategia della sicurezza nazionale che superi le divisioni politiche e sia capace di misurarsi con sfide sempre più difficili e complesse.

Partiamo dall’idea che la sicurezza della Repubblica e dell’Europa coincide con la difesa dei valori di democrazia e libertà e della tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, non solo nei nostri confini, ma anche nella dimensione internazionale più ampia. Il convegno padovano può aiutare a far maturare e diffondere la consapevolezza dell’urgenza delle risposte possibili».

Secondo lei la situazione in Medioriente potrebbe innescare una nuova scia di attentati in Europa?

«Nell’era dei conflitti ibridi è impossibile distinguere le minacce interne da quelle esterne o confinare i rischi più gravi nei soli teatri bellici che, del resto, sono a noi così drammaticamente vicini. L’illusione di tenere lontani dall’Europa gli spettri della guerra è polverizzata. In un contesto del genere, il rischio di attentati terroristici, ma anche di azioni violente di proxy di Stati in guerra, è obiettivo».

Attentati di che matrice?

«C’è il rischio di sanguinose azioni individuali, soprattutto per la pericolosità della propaganda d’odio antisemita che permea sia i circuiti jihadisti che le reti suprematiste o antagoniste. Fatta questa premessa, l’Italia dispone di un sistema di prevenzione e controllo del rischio terrorismo fra i più collaudati ed efficaci al mondo».

Quali altre conseguenze potrebbero esserci in Italia a causa di questi conflitti?

«Al di là della minaccia terroristica, l’Italia, al pari degli Stati occidentali, già da tempo conosce l’impatto potenzialmente disastroso degli attacchi cyber alle infrastrutture digitali dello Stato e del sistema economico e sociale, e i rischi di manipolazione informativa delle opinioni pubbliche. La stessa pressione migratoria sui confini europei è in parte originata, al pari delle reti criminali che gestiscono il traffico di migranti, dai conflitti armati, dalle guerre civili e dai processi di profonda destabilizzazione politica e sociale in atto in intere regioni del pianeta, dall’Africa centrale e occidentale all’Asia e al Medio Oriente».

Le migrazioni via mare possono essere un canale per le organizzazioni terroristiche o è una falsa narrazione?

«In passato non sono mancati casi in grado di comprovare la capacità delle reti terroristiche di marca jihadista di utilizzare anche le rotte dei migranti per trasferire in Europa miliziani pronti all’azione. Ciò è dipeso anche dall’incapacità degli Stati europei di governare i flussi migratori regolari e colpire efficacemente le reti dei trafficanti di persone e di migranti. In ogni caso, guardare alle migrazioni via mare con le lenti della minaccia terroristica non solo non aiuta a comprendere la realtà, ma ostacola i processi di accoglienza e integrazione che costituiscono uno degli argini essenziali per la prevenzione di quel tipo di minaccia terroristica, oltre che per la tenuta del nostro sistema produttivo».

Attualmente sono in corso contatti con i suoi omologhi a livello europeo?

«Per fortuna i magistrati europei hanno una consolidata capacità di lavorare insieme, scambiando informazioni e condividendo strategie e azioni investigative. È un patrimonio di esperienze e di conoscenza che è importante preservare».

Ritiene sufficienti gli strumenti che la normativa vi consente di usare per l’attività antimafia?

«L’Italia dispone di un modello normativo efficace e consolidato, al quale molti Stati guardano con interesse ed ammirazione, traendone continue ragioni di ispirazione delle loro scelte. Ma è un modello che si fa presto a indebolire e smontare».

Può fare un esempio?

«La nuova disciplina dell’utilizzabilità delle intercettazioni approvata a novembre 2023 ha danneggiato non poche e importanti indagini in materia di criminalità organizzata e corruzione. Alcuni progetti di nuove leggi, al di là delle intenzioni certo lodevoli, sembrano muoversi nella stessa direzione, mentre ci sarebbe bisogno di nuovi e più efficaci strumenti di penetrazione delle reti digitali asservite ai fini delle mafie e del terrorismo, per contrastare le sempre più gravi minacce alla sicurezza cibernetica nazionale».

Questo suo ragionamento vale anche per l’antiterrorismo?

«Gli strumenti sono adeguati e il loro valore deve apparirci ancor più grande, considerando che la loro applicazione nella nostra esperienza è stata affidata alle mani e alle garanzie della giurisdizione. Starei molto attento a coltivare l’illusione di poter allontanarsi da questa strada senza pagare il prezzo di pericolosi e gravi arretramenti della tenuta dello Stato di diritto. La magistratura italiana e le strutture di polizia giudiziaria antiterrorismo sanno ben coniugare l’efficacia della loro azione con il rispetto dei diritti fondamentali».

Come giudica la stretta sulle intercettazioni?

«È stata una scelta sbagliata ed irragionevole ed è doveroso continuare a sottolinearlo».

Dal suo punto di osservazione qual è la situazione della mafia in Veneto e nel Nord Est?

«Assai seria e preoccupante, direi. A meno che non si voglia guardare alla realtà con l’occhio miope di chi non scorge ragioni di allarme nella ramificazione in quelle regioni di pericolose strutture criminali, solo perché queste si guardano bene dall’ostentare le armi della violenza e della intimidazioni, preferendo muoversi silenziosamente nei circuiti della frode fiscale, della corruzione e del riciclaggio».

Spesso si è discusso della difficoltà della gente del Nord Italia a riconoscere la presenza di infiltrazioni mafiose. È un problema superato o non ancora?

«Malgrado gli sforzi e i risultati positivi raggiunti, resta forte l’impressione che il tema delle mafie nel Nord Est sia di fatto accantonato nella discussione pubblica e persino nella stessa percezione dell’opinione pubblica. Eppure, sappiamo che esistono in quelle regioni stabili articolazioni di pericolose organizzazioni mafiose calabresi, divenute, al pari di gruppi camorristici, una sorta di autentica dorsale del sistema delle false fatturazioni e delle frodi fiscali che permea interi comparti economici. Così come allarma la dimensione di reti mafiose albanesi, la cui pericolosità è ancora sottovalutata. In realtà governano i grandi traffici internazionali di stupefacenti, lavorando fianco a fianco con i principali cartelli dei narcos sudamericani e con i gruppi di vertice della ’ndrangheta reggina».

In questo contesto, qual è il ruolo della Procura nazionale antimafia?

«Il mio ufficio assicura ogni supporto all’azione delle Procure distrettuali antimafia dell’Italia settentrionale, l’efficacia della quale dipende tuttavia anche dalla possibilità di concentrare maggiori risorse in questo tipo di indagini e di disporre in tempo reale delle informazioni raccolte in molte importanti indagini delle altre procure dei rispettivi distretti. Dispersione informativa e frammentazione e incostanza delle iniziative sono i principali pericoli per un’efficace azione di contrasto delle mafie».

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