Morì a 14 anni per la chemio in ritardo: sotto accusa in aula a Vicenza il metodo Hamer
I genitori imputati di omicidio fanno marcia indietro sulle terapie alternative: «Vivevamo un incubo, ora vi diciamo di affidarvi agli ospedali». Scontro di medici in aula

«Quando non c’è più la speranza, la ragione lascia il posto alle ragioni del cuore». Una frase, una sola, per spiegare l’apparentemente inspiegabile: come mai due genitori abbiano ritardato la chemioterapia sul figlio malato e poi morto di cancro; cura che ne avrebbe potuto alleviare le sofferenze se non allungarne la vita. A pronunciarla è l’avvocato Lino Roetta, il difensore dei vicentini Luigi Gianello di 52 anni e Martina Binotto di 51, papà e mamma di Francesco ucciso a 14 anni da un osteosarcoma, nel gennaio 2024.
Ieri mattina in Corte d’Assise a Vicenza si è aperto il processo a loro carico per il reato di omicidio con dolo eventuale. Processo chiuso celermente: un difetto di notifica, eccepito dalla difesa, ha fatto “tornare al via” il procedimento a carico della donna. Questo significa che ci sarà per la mamma una nuova udienza preliminare e, in caso di rinvio a giudizio confermato, si deciderà se unire i due procedimenti. Se ne riparlerà a gennaio, quando si terrà l’udienza a carico del solo papà.
I genitori e Hamer
I genitori ieri non erano in aula, c’erano i difensori Lino e Jacopo Roetta. Che hanno lasciato intravvedere la linea difensiva: mamma e papà volevano solo il meglio per Francesco e dopo la diagnosi di osteosarcoma da parte dei medici del Rizzoli di Bologna nel marzo 2023, diagnosi vissuta come una sentenza di morte, hanno cercato altrove le risposte e le speranze che non hanno trovato nella scienza. Le hanno cercate in particolare nel metodo Hamer, secondo cui il tumore è il risultato di un conflitto psichico da rimuovere e contro il quale i farmaci a nulla servono.
Metodo dal quale ora la coppia prende le distanze, tanto da invitare i genitori che si trovano in medesime situazioni a rivolgersi alla medicina ufficiale, agli ospedali, e di tenersi alla larga da Hamer. «All’inizio ci abbiamo creduto perché ci dava speranza», spiegano oggi i genitori di Francesco, citando in un’intervista al Corriere della Sera il medico del Veneziano Matteo Penzo al quale, tra gli altri, si erano rivolti. «Ci ha dato dei consigli, ma non abbiamo mai curato nostro figlio con quei metodi», precisano tramite i legali. Procedure che, sostiene la Procura, prevedevano l’uso di un antinfiammatorio come il Brufen o impacchi di argilla. «Abbiamo vissuto un incubo», spiegano, «speravamo ogni giorno di svegliarci scoprendo che non era vero, che Francesco stava bene».
Scontro in aula tra medici
Eppure, è la posizione dell’accusa rappresentata dal sostituto procuratore Paolo Fietta, le cure tradizionali avrebbero permesso di trattare il tumore garantendo, con significativa probabilità, la sopravvivenza a breve-medio termine del ragazzo o comunque il prolungamento della vita in condizioni accettabili. I genitori hanno rifiutato prima la biopsia su consiglio di un medico secondo cui - hanno detto - l’esame rischiava di far espandere la malattia; e poi le cure ospedaliere preferendo portare il ragazzo nel Centro salutistico Valdibrucia di Badia Tebalda nell’aretino.
Il figlio è stato infine seguito dall’ospedale di Perugia, ma era troppo tardi. Un percorso che, secondo la Procura, poteva seguire un tracciato molto diverso: i familiari avevano avuto diversi consulti medici ricevendo, in alcuni casi, l’indicazione ad affidarsi alle cure tradizionali. Scelsero invece, la “medicina alternativa” di Hamer. Esponenti di questa corrente di pensiero saranno in aula insieme ai medici nelle prossime udienze del processo. Un confronto sicuramente utile a far chiarezza e non solo nella vicenda giudiziaria.
Nella lista testi della Procura compaiono il dottor Luca Bastianello, direttore sanitario dello studio odontoiatrico omonimo a Selvazzano Dentro, il dottor Fortunato Loprete, titolare di un ambulatorio a Padova, il dottor Giuseppe Zora, medico oncologo di Conegliano con studio a Chiasso e poi la pediatra Valeria Vettori. La difesa ha chiamato a testimoniare in qualità di consulenti tecnici, il professor Daniele Rodriguez, ordinario di medicina legale presso l’Università di Padova e il direttore del reparto di Oncologia del Pederzoli di Peschiera del Garda, Davide Pastorelli. E ancora: la dottoressa Chiara Comparin. Intanto le posizioni si delineano.
Spiega il dottor Loprete: «Io non ho mai visitato il ragazzo, ho seguito il papà dal punto di vista nutrizionale. Ritengo radioterapia e chemioterapia fondamentali e insostituibili. E guai se con parole ambigue si fanno nascere dubbi in persone che vivono una situazione particolare di fragilità. Oltre a medico sono un papà, la vita è sacrosanta. In casi come questi può essere utile avere un supporto che migliori la qualità della vita, ma occorre rivolgersi a persone qualificate, che abbiano un titolo specifico».
Gli altri testi
I genitori hanno chiamato a testimoniare i familiari e quanti hanno condiviso il calvario vissuto dalla diagnosi fino alle ultime ore di Francesco. Ci saranno gli amici e anche i genitori di alcuni compagni di scuola del ragazzo. Convocati dall’accusa, invece, i referenti del centro salutistico toscano, Piero Pellizzari e Immacolata Quaranta di Sant’Arcangelo di Romagna.
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