Lingua blu, l’epidemia colpisce anche il Nord Est: che cosa sta succedendo tra Fvg e Veneto
Dai primi casi a San Leonardo alle morie di ovini e yak in Alpago: il virus trasmesso da insetti infetti avanza. Nessun rischio per l’uomo, ma danni gravi agli allevamenti. Tra profilassi, allarmi e nessun ristoro, monta la rabbia degli allevatori

La febbre catarrale degli ovini, conosciuta come morbo della lingua blu, ha superato le barriere geografiche e ora preoccupa seriamente anche Friuli Venezia Giulia e Veneto. Se fino a pochi giorni fa il Fvg era una delle ultime regioni italiane indenni, la situazione è cambiata rapidamente: il virus ha già causato decine di morti tra le pecore nelle Valli del Natisone, mentre nel Bellunese si contano più focolai e perfino la moria di yak.
La malattia, trasmessa da moscerini infetti e innocua per l’uomo, rappresenta invece una minaccia seria per gli ovini, con sintomi acuti e decorso rapido. Le istituzioni locali si stanno muovendo tra l’avvio delle profilassi e il tentativo di supportare gli allevatori, ma tra mancanza di ristori e difficoltà logistiche, la preoccupazione cresce. Vediamo il quadro regione per regione.
In Veneto
Nel Bellunese, la situazione è altrettanto critica, con un’escalation che ha allarmato gli operatori sanitari e gli allevatori. I focolai di lingua blu sono raddoppiati in una settimana: da 7 a 14, colpendo in particolare l’Alpago e il Cadore. A essere decimati non sono solo gli ovini: si contano anche 20 yak morti, una perdita che colpisce anche sul piano simbolico, data la rarità dell’allevamento.
Alla data del 6 agosto, oltre 70 capi risultavano colpiti dal virus. L’Azienda sanitaria locale Ulss Dolomiti ha attivato una profilassi mirata, incentrata sugli allevamenti infetti, e si prepara a estendere le misure a tutto il territorio provinciale. Il commissario dell’Ulss1, Giuseppe Dal Ben, ha garantito il massimo supporto: dalla conferma diagnostica alla campagna vaccinale, fino all’assistenza nella somministrazione dei vaccini. «Il consumo di carne e latte resta sicuro – ha rassicurato –. Il virus non si trasmette all’uomo, né per contatto diretto né tramite alimenti».
L’Ulss ha anche istituito un’unità di crisi veterinaria, coordinata dal dottor Gianluigi Zanola, per affrontare l’emergenza. Il sierotipo identificato dal centro di riferimento di Teramo è il numero 8, una variante nota per la sua aggressività, ma per la quale esiste un vaccino efficace. Per il momento, l’unica restrizione formale è il blocco della movimentazione dei capi negli allevamenti infetti.
La tensione, tuttavia, è alta. In un vertice a Puos d’Alpago, oltre 50 allevatori hanno incontrato i vertici dell’azienda sanitaria. Tra loro, Zaccaria Tona, presidente della cooperativa Fardjma, ha lanciato un grido d’allarme: «La lingua blu rischia di fare più danni dei lupi alla razza ovina alpagota». Una razza su cui il territorio ha investito molto negli ultimi vent’anni, come ha ricordato anche il sindaco di Alpago, Alberto Peterle, preoccupato come la collega di Tambre, Sara Bona, per il futuro dell’intero comparto.
In Friuli Venezia Giulia
Il Friuli Venezia Giulia era finora considerato zona esente dal morbo, ma l’arrivo della lingua blu ha spezzato questa fragile tregua. Il focolaio più rilevante è stato registrato nel comune di San Leonardo, in provincia di Udine, dove l’allevatore Pietro Faidutti ha visto decimate le sue 400 pecore: in pochi giorni, oltre 60 capi sono morti. La malattia è esplosa con violenza: martedì 16 decessi, il giorno dopo altre 9 vittime. La trasmissione è avvenuta per puntura di insetti infetti – i Culicoides – e il contagio ha colpito soprattutto gli ovini, mentre bovini e caprini presentano sintomi più lievi.
La notizia ha allarmato non solo l’imprenditore agricolo ma anche le autorità locali. Il sindaco di San Leonardo e presidente della Comunità di montagna del Natisone e Torre, Antonio Comugnaro, ha chiesto un confronto urgente con la Regione: «Non lasceremo soli gli allevatori – ha dichiarato –. Le pecore non sono solo fonte di reddito: contribuiscono alla cura del territorio e alla prevenzione del dissesto idrogeologico».
La risposta dell’assessore regionale Stefano Zannier, però, è stata netta: nessun ristoro è previsto, poiché la febbre catarrale non rientra tra le patologie indennizzabili a livello europeo. «Si tratta di una questione sanitaria – ha precisato –. L’unica via è la vaccinazione e la messa in quarantena dei capi infetti». Una risposta che ha lasciato l’amaro in bocca agli allevatori, già alle prese con le pesanti perdite economiche e senza strumenti concreti di compensazione.
Il punto a Nord Est
Il virus, per ora, non minaccia la salute pubblica, ma colpisce duramente un comparto già fragile, con ricadute economiche, ambientali e sociali. Mentre in Veneto si lavora alla profilassi e al contenimento, in Friuli il dibattito si sposta sul nodo dei ristori e sul riconoscimento del ruolo essenziale della zootecnia montana. In entrambi i casi, sarà fondamentale un coordinamento tra istituzioni, sanità e imprenditori agricoli per evitare che la lingua blu lasci dietro di sé un territorio più povero e disgregato.
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