Tre meravigliosi figli dell'Italia migliore
Le più alte cariche dello Stato nella Basilica di Santa Giustina a Padova per l’ultimo saluto ai carabinieri uccisi. La commozione dentro e fuori la chiesa, e le toccanti parole dei familiari

È stato un immenso, commosso abbraccio quello con cui Padova, il Veneto e l’Italia hanno avvolto i tre carabinieri padovani uccisi, le loro famiglie straziate, l’Arma ferita. Ma è stato anche un abbraccio alle istituzioni repubblicane, abbraccio che lo Stato ha ricevuto e ricambiato rispondendo “presente”; partecipando ai funerali solenni con tutte le sue più alte cariche; facendo sentire la sua presenza forte ed empatica, ieri nella basilica padovana di Santa Giustina.
Lo Stato
I primi ad arrivare, secondo il protocollo del cerimoniale, sono i ministri: Guido Crosetto che stringe le mani, tantissime mani, dei carabinieri schierati, Antonio Tajani, Carlo Nordio, Anna Maria Bernini, Matteo Salvini, Matteo Piantedosi, Andrea Abodi, Eugenia Maria Roccella, Orazio Schillaci, Maria Elisabetta Casellati.
Poi il presidente del Senato Ignazio La Russa accompagnato dal figlio, il presidente della Camera Lorenzo Fontana. C’è il parlamento italiano con Elly Schlein, Alessandro Zan, Alessandra Moretti.
E poi la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, capo chino e occhiali scuri. Infine, affiancato dal governatore del Veneto Luca Zaia e dal sindaco di Padova Sergio Giordani, ecco il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ad accoglierlo il lungo applauso della folla in Prato della Valle.
I cittadini
Almeno cinquemila le persone arrivate da ogni dove per onorare il sacrificio del carabiniere scelto Davide Bernardello, del brigadiere capo Valerio Daprà, del luogotenente Marco Piffari.
Uomini che hanno servito la comunità fino alla morte, fino all’esplosione dolosa del casolare martedì all’alba a Castel d’Azzano. Una strage che ha scavato il cuore del Paese.
Gli eroi in basilica
Mancano pochi minuti alle 16 quando Davide, Marco, Valerio giungono a Santa Giustina, le loro bare avvolte nel tricolore.
Ad accoglierle l’applauso della piazza, le lacrime, il nodo in gola a spezzare parole che si perdono tra la folla.
I tre feretri, portati in spalla dai carabinieri, e uno dagli uomini delle squadre speciali Api, attraversano il picchetto d’onore, con tutte le forze armate schierate. Incedono verso la basilica, verso le cupole che significano resurrezione, il credo cattolico ma anche laico della vittoria sulla morte.
Le bare, preceduti dai familiari delle vittime, varcano il portale. Il mondo e il suo commosso e dolente brusìo restano alle spalle, questo è il momento della solennità. La solennità nel rito guidato da monsignor Gian Franco Saba, ordinario militare per l’Italia, dal vescovo di Padova monsignor Claudio Cipolla, da quello di Verona Domenico Pompili e da un’altra trentina tra celebranti e concelebranti. Solennità anche nel cerimoniale, con il coro Don Vincenzo Polo di Lendinara e con l’orchestra Sinfonica del Veneto.
I passi del piccolo corteo risuonano lenti lungo la navata, l’aria dentro è ferma e profuma di incenso, di cera, di secoli di fede. Il presidente Mattarella, nel primo banco con La Russa, Fontana e Meloni, saluta uno a uno i parenti seduti, come lui, in prima fila. Le tre bare vengono posate davanti all’altare, tra il sepolcro di Santa Giustina, uccisa nella sua missione di fede, e le reliquie di San Luca evangelista, il patrono dei medici, di chi si prende cura della comunità. Non c’è luogo più simbolico di questo.
Gli abbracci
Dentro la chiesa è un’immensa distesa di divise, tutta la grande, compatta, famiglia dell’Arma è lì. C’è il comandante generale, Salvatore Luongo, fin da martedì a Verona. Insieme ai carabinieri, accanto a loro, tutte le altre forze armate.
E quanti abbracci, abbracci vigorosi che i carabinieri si scambiano commossi; poi quelli speciali riservati ai 27 sopravvissuti, gli uomini che hanno partecipato all’operazione di Verona. «Duro, doloroso e umanamente incomprensibile è il drammatico evento che ha provocato la morte di Marco, Valerio e Davide, e il ferimento di tanti operatori in servizio per il bene comune», dice monsignor Gian Franco Saba, ordinario militare per l’Italia .
L’omelia
L’omelia celebra il senso del servizio: «Nel suo discorso di addio, Gesù indica nell’amore e nel servizio la vera vittoria, la vera gloria, il vero esito vittorioso della sua vita. Servire i fratelli, tutelare il bene comune, significa partecipare all’edificazione dei valori del Regno», spiega monsignor Saba. Quindi il richiamo: «La vittoria sul mondo e sul male è anche l’amore di chi serve la patria, cioè il prossimo, garantendo la giustizia, il bene comune, la stabilità delle istituzioni preposte a custodire nell’ordine e nell’armonia la comunità umana». Ancora: «In questi tempi, si assiste ad una crescita a dismisura del senso della libertà, disancorata da ogni forma di riferimento.
La nostra non è tanto una società pluralistica, ma una società policentrica, una società che non sempre riesce a trovare il proprio centro. Occorre, oggi più che mai, rientrare nella casa interiore per recuperare la capacità di comprendere il senso delle azioni compiute e che si compiono perché solo nell’intimo si possono valutare e giudicare». Monsignor Saba cita Hegel invocando «un’educazione alla virtù etica e spirituale della mitezza, intesa come modo di porgersi verso l’altro per non trasformare l’umana convivenza in un “immenso mattatoio”».
I familiari
Poi la solennità lascia il passo alla commozione, quella trasmessa dalle parole dei familiari che salgono all’altare per raccontare i “loro” Davide, Marco Valerio. Il papà di Davide, Fredile Bernardello: «Sei diventato quello che desideravo: sei diventato carabiniere d’Italia. Vola in alto Davide».
Il figlio di Valerio, Christian Daprà: «Ho avuto il privilegio di chiamare papà chi ha dedicato la vita al dovere, al servizio, all’onore. Questa insensata tragedia lo ha strappato a me, a tutti. Spero che le sua qualità continuino a parlarmi nel silenzio».
Il fratello di Marco, Andrea Piffari: «Che il loro sacrificio non sia vano. Chiedo a tutti di stringerci ai nostri militari». Parole che arrivano dritte al cuore, parole che restituiscono alle vittime la dimensione di uomini, accanto a quella di eroi. E in basilica le lacrime scorrono, qualcuno singhiozza.
La promessa
Poi la promessa del ministro Crosetto: «I nostri nomi, il mio, quello del presidente sono scritti sulla sabbia della memoria delle persone care e destinati a scomparire nel tempo; il nome dei giusti no, il nome di chi è morto per la patria è scritto nella roccia della memoria della Repubblica, e viene onorato, ricordato, e state tranquilli, le forze armate sono le custodi di quella memoria».
Il saluto
I feretri portati a spalla, lasciano la basilica pochi minuti prima delle 18 e attraversano il sagrato; un lunghissimo applauso e la marcia funebre di Chopin li accompagna. L’abbraccio tra lo Stato e le famiglie ancora non si scioglie: i ministri, la presidente del consiglio Meloni, stringono le mani dei parenti.
E il presidente Mattarella li abbraccia, a ciascuno di loro porta parole di sostegno. Sono lunghi minuti, il Capo dello Stato non ha fretta di salire sull’auto che lo attende. La gente lo vede, capisce, si sente capita. E applaude ancora, ancora a lungo.
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