Dieci anni dal Bataclan, la madre di Valeria Solesin: «La immagino professoressa e mamma. Provo dolore, non odio»
Parla Luciana Milani, mamma della veneziana uccisa nel 2015 a ventotto anni negli attentati di Parigi: «La sua memoria è un argine al terrorismo, credo sia necessario ricordare quello che è successo quella notte, cercare di capire, riflettere»

Luciana Milani, sono passati 10 anni dalla morte di sua figlia Valeria Solesin nell’attentato del Bataclan. Oggi a Parigi inizia la settimana di iniziative che culmineranno nella cerimonia del 13 novembre, anniversario della strage. Parteciperà?
«Ci sarò. I dieci anni sono una ricorrenza importante. È una formalità che in fondo ha il suo significato. Sono molto interessata a vedere la cerimonia e come verrà vissuta questa ricorrenza a Parigi, che è il posto dove tutto è successo».
È stata a Parigi tutti gli anni, per le ricorrenze?
«Solo da quando sono in pensione, negli ultimi quattro anni».
L’attentato in cui è morta Valeria, durante un concerto, è avvenuto al Bataclan.
«Ci vado ogni volta, porto un mazzo di fiori».
Come sono stati questi dieci anni?
«Sono stati dieci anni molto brevi, volati in un attimo. Ma mi è rimasto addosso il senso di incredulità per quello che è successo. Sono passati tanti anni ma l’incredulità rimane ancora adesso che ne parlo».

Chi era sua figlia?
«Era una ragazza vivace, quando c’era lei succedeva sempre qualcosa. Era allegra e simpatica, molto determinata nelle sue scelte universitarie, aveva le idee chiare e superato tanti ostacoli. Era una volontaria di Emergency e bravissima a organizzare i pic-nic».
Chi sarebbe oggi Valeria?
«La immagino docente universitaria, magari proprio alla Sorbona, chi lo sa, dove stava facendo il dottorato in demografia dopo la laurea a Trento. La vedo con dei figli, ci teneva moltissimo. La vedo circondata di amici».
Mercoledì è stata proprio all’Università di Trento, dove ha portato la sua testimonianza al festival Mortali.
«Credo che non si parli abbastanza della morte. Piante, animali e uomini vivono e muoiono perché fa parte del ciclo della vita. È una riflessione che come esseri umani dobbiamo approfondire e che ci dovrebbe avvicinare molto di più al mondo della natura che merita più rispetto».
La morte di Valeria è stato un lutto privato e pubblico allo stesso tempo. Lei ha detto di sentire il dovere di essere testimone. Quando lo ha avvertito?
«Subito, non è stata una scelta. E infatti, non appena ci fu data la conferma ufficiale della morte, le prime parole che ho detto sono state per ricordarla».
Il dovere della memoria di Valeria?
«La memoria è importante per tutti, per costruire il futuro. Sono stata al cimitero di San Michele il giorno dei Santi e sono stata sorpresa dal numero di persone che ricordavano i loro cari. Ci sono persone che hanno avviato Fondazioni e penso a Gino Cecchettin, che porta avanti la memoria di Giulia con progetti contro la violenza sulle donne. Nel mio caso penso che la memoria di Valeria possa essere un argine contro il terrorismo. È necessario ricordare quello che è successo, cercare di capire, riflettere».
Al festival di Trento è stata invitata dalla mamma di Andrea, che era il fidanzato di Valeria e riuscì a salvarsi.
«Ci sentiamo ancora, anche con Andrea. Ogni tanto mi viene a trovare. È rimasto un bel rapporto, anche con gli amici di Valeria».
Il passare del tempo aiuta a lenire il dolore della perdita?
«No, ma il tempo ti costringe a guardare avanti. Non si può vivere con il fazzoletto in mano. Il dolore c’è ma assume delle forme diverse, viene tenuto in qualche modo sotto controllo ma entra nella vita quotidiana. Ecco, penso che la cosa più giusta da dire è che il dolore fa parte della mia vita quotidiana».
Lei ha seguito con molta attenzione il processo, ha partecipato a tre udienze. L’attentatore sopravvissuto Salah Abdeslam, poi condannato all’ergastolo, dichiarò: “Abbiamo colpito la Francia, ma non c’era nulla di personale”.
«Quando gli imputati hanno parlato, hanno dato prova di uno spirito puerile, ragazzini di prima media poco bene educati. Scene penose. Sono stati reticenti su tutto, hanno tirato fuori queste scuse insignificanti, non hanno fornito nessuna collaborazione per la ricostruzione dei fatti. Sono stati i convitati di pietra del processo. Hanno detto di non accettare la giustizia dello Stato francese, hanno detto molte scemenze che ci siamo dovuti sorbire. È stato molto interessante che nessuno abbia fatto appello».
Avrebbe voluto l’appello?
«Lo speravo. Il motivo è che nell’appello alcuni di loro potevano essere chiamati a testimoniare, senza più lo scudo di essere imputati».
In questi anni è cambiato il suo sentimento nei confronti dei terroristi?
«Non è mai mutato: indifferenza e disprezzo».
Come ha fatto a non provare odio dopo quello che è successo?
«Non ho mai provato odio e credo che ciò sia dovuto anche alla mia partecipazione al processo: questi uomini sono ben poca cosa, davvero ben poca cosa. Nel corso delle udienze il loro atteggiamento è molto cambiato: all’inizio alcuni di loro hanno iniziato facendo gli sbruffoni, alla fine hanno chiesto di essere dimenticati. Anche la loro vita, in qualche modo, si può dire finita».
Ha rapporti con le famiglie delle associazioni nate dopo l’attentato di Parigi?
«Sono stata iscritta a un’associazione e ora sono iscritta all’Associazione francese vittime del terrorismo che raccoglie anche familiari di vittime e persone coinvolte in altri attentati e fa molte iniziative, in modo capillare, su vari temi: dalla giustizia riparativa al supporto psicologico post-traumatico».
La morte di Valeria l’ha portata a interrogarsi sul terrorismo islamico.
«Bisogna tenere alta la guardia e mi chiedo che cosa si possa fare per prevenirlo. Conosco collettivi di madri impegnate per impedire che i propri figli si radicalizzino, progetti nelle banlieue parigine. È importante che ci siano anche se io non sono in grado di valutare se siano efficaci. Spesso i percorsi di estremizzazione hanno poco a vedere con la razionalità».
L’addio a Valeria avvenne in Piazza San Marco, un rito civile cui parteciparono migliaia di persone e con la presenza dei principali rappresentanti delle tre religioni: patriarca, rabbino e imam.
«Parteciparono moltissime persone, per me fu davvero impressionante».
Crede che la città di Venezia, la sua comunità, abbiano ricordato Valeria nel modo giusto in questi anni?
«Io credo di sì, il ricordo di Valeria c’è, è diffuso in molte persone, a partire dalle sue amiche, dalle sue compagne di scuola con le quali sono in contatto».
Che cosa le manca di più di Valeria?
«Il suo spirito ironico».
Riproduzione riservata © il Nord Est








