L’appello di Zennaro per Trentini: «Alberto sei forte, non mollare»
A un anno dalla cattura del cooperante veneziano, ecco la solidarietà dell’imprenditore che fu sequestrato in Sudan: «Per non cadere nello sconforto è fondamentale concentrarsi su di sé»

Il 15 novembre 2024 Alberto Trentini veniva arrestato in un posto di blocco, in Venezuela. Esattamente un anno dopo, il cooperante umanitario originario del Lido di Venezia si trova ancora in cella, detenuto senza un’accusa formale nel carcere di massima sicurezza di El Rodeo, vicino Caracas. Un «detenuto politico», così lo ha definito il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In prigione senza un’accusa formale.
Tra le tante iniziative e testimonianze di vicinanza e solidarietà, spicca quella dell’ingegnere veneziano Marco Zennaro che da Dubai, dove si trova per motivi di lavoro, invita Trentini a tenere duro e a rimanere «concentrato su se stesso senza lasciarsi prendere dallo sconforto».
Il sequestro di Zennaro in Sudan
Coinvolto in una causa civile intentata da un miliziano, sequestrato in Sudan per quasi un anno, detenuto in condizioni disumane e poi chiuso nell’ambasciata di Khartoum in attesa del rimpatrio. Per esperienza personale, Zennaro sa a cosa bisogna aggrapparsi quando un regime straniero decide di toglierti arbitrariamente la libertà personale, quando le giornate si moltiplicano senza un orizzonte chiaro.
Per questo, il suo invito a Trentini è anche una testimonianza di resilienza in attesa che il cooperante umanitario possa tornare finalmente a casa, al Lido di Venezia.

L’invito a Trentini
«Ad Alberto dico di rimanere concentrato su se stesso e di non dare spazio ai momenti di sconforto», l’appello di Zennaro, «spero abbia stretto amicizie in quell’inferno di situazione in cui si trova perché è stato molto importante per me. Sono sicuro che nonostante le difficoltà alla fine di questa brutta storia tornerà più forte di quella già bella persona che era prima. Si riparte sempre e si riparte più consapevoli della propria forza».
Zennaro ne è testimone, a parlare è proprio la sua esperienza e le cicatrici di quanto ha vissuto in Sudan. «Ad esempio qui a Dubai ho ritrovato il mio compagno di cella professore iracheno con cui ho passato momenti durissimi e senza il cui supporto non sarei forse nemmeno qui. È stato emozionante per tutti e due. Da una cassaforte che aveva nel suo studio a Dubai ha tirato fuori la penna che gli avevo lasciato in cella a Khartoum e che ero riuscito a nascondere alle guardie. Io avevo perso la voglia di scrivere e a lui serviva per i suoi conti. Ricordo perfettamente quando mi hanno trasferito di carcere e lui voleva restituirmela. Gli dissi: “Tienila tu, sono sicuro che un giorno ci rivedremo di fronte ad una bella cena, vestiti bene, puliti, con le nostre famiglie e ricorderemo questa esperienza”. Sembra un film ma è storia vera. Si riparte sempre. Tieni duro Alberto!».
La famiglia del cooperante
Tenere accesa una luce sulla vicenda di Trentini, questo l’obiettivo che negli ultimi dodici mesi si è posto la famiglia del cooperante umanitario e il gruppo di amici e conoscenti che hanno organizzato continue iniziative per la sua liberazione. Striscioni, braccialetti, magliette, fino all’alzaremi delle remiere cittadine in Canal Grande davanti alla basilica della Salute e alla camminata che ha unito il sestiere di Castello a Mestre per sensibilizzare la popolazione sulla vicenda. Oggi, sabato 15 novembre, a Milano Articolo 21 ha organizzato un appuntamento alle 12 nella sala stampa del Comune di Milano. Sarà presente l’avvocata della famiglia, Alessandra Ballerini, il presidente della Associazione lombarda dei giornalisti, Paolo Perucchini, e il Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino. Sarà rilanciato ancora una volta l’appello alla sua liberazione, nella speranza che la trattativa diplomatica in corso porti buoni frutti. —
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