Risoluzione su Srebrenica all’Onu: asse Vucic-Dodik per stopparla

BELGRADO Tensione palpabile, che sale giorno dopo giorno. E il rischio di una gravissima crisi che si profila, sempre più concreto, all’orizzonte. È il quadro legato alla risoluzione che, con alta probabilità a inizio maggio, sarà votata all’Assemblea generale dell’Onu, per rendere l’11 luglio Giornata internazionale per il ricordo del genocidio di Srebrenica, una mossa fortemente sostenuta da vittime e sopravvissuti, da metà Bosnia e anche da grandi potenze europee, come la Francia.
Ma la maretta contro la risoluzione sta salendo, in Republika Srpska (Rs), l’entità politica dei serbi di Bosnia, e nella stessa Serbia. Lo ha confermato un vertice ad hoc organizzato a Belgrado dal presidente serbo Vučić, che ha convocato per “consultazioni” sul da farsi il leader nazionalista e filorusso Milorad Dodik, attuale presidente serbo-bosniaco, e Željka Cvijanović, membro serbo presidenza centrale. L’obiettivo, concordare una “contro-strategia” per evitare che la risoluzione, vista come il fumo negli occhi dai serbi, passi al Palazzo di Vetro.
A muoversi sarà la Serbia, ha così annunciato lo stesso Vučić giovedì notte, specificando che Belgrado batterà sul tasto del rispetto totale «delle procedure» Onu in vista del voto e che la Serbia spedirà a New York «un inviato speciale» per monitorare quanto accadrà prima e durante le votazioni – che potrebbero richiedere solo una maggioranza semplice, un timore ormai sempre più concreto, agli occhi di Belgrado e Banja Luka.
Le chance che la risoluzione non passi? «Sono minime», ha ammesso poi Vučić, ma «ci batteremo fino all’ultimo». Dodik e la leadership della Republika Srpska «hanno chiesto alla Serbia di combattere» in seno all’Onu per essa e «lo faremo, per ogni voto», ha aggiunto. Dodik, da parte sua, ha ribadito il perché del no alla risoluzione, come sempre con parole altamente divisive, che hanno nuovamente irritato i sopravvissuti del più grande massacro sul suolo europeo dal 1945, compiuto dagli sgherri comandati dal generale serbo-bosniaco Ratko Mladic, e la leadership di Sarajevo.
A Srebrenica, malgrado le sentenze della giustizia internazionale, non ci fu genocidio, ha così sostenuto Dodik, accusando i sostenitori della risoluzione di voler solo «demonizzare l’intero popolo serbo» e di voler dimenticare «i 3.500 serbi uccisi» intorno a Srebrenica, mentre i bosgnacchi eliminati sarebbero stati “solo” 4.000, non 8 mila e passa, come stabilito dalla giustizia e dalla storia.
Non è finita: partendo da condanne ad personam, come quella contro Mladić, si vuole «addossare una responsabilità collettiva» per Srebrenica a tutti i serbi, ha rimarcato, sostenendo poi che i rappresentanti bosniaci che hanno portato all’Onu l’iniziativa sarebbero in realtà solo espressione «dei bosgnacchi» musulmani, non dell’intera Bosnia.
Dodik ha poi tratteggiato una scaletta di massima verso l’escalation: il 18 e 19 aprile i serbi di Bosnia dovrebbero scendere in piazza per protestare contro la risoluzione in cantiere. E poi il Parlamentino serbo-bosniaco dovrebbe mettere ai voti una “contro-risoluzione” e soprattutto mettere le basi per una «uscita» dei serbi di Bosnia dalle istituzioni decisionali centrali, una sorta di “semi-secessione”.
Le strategie «di Vučić non potranno cancellare» il fatto che a Srebrenica fu genocidio, ha replicato ieri il membro bosgnacco della presidenza tripartita, Becirovic. E tutto indica che tra aprile e maggio la Bosnia sarà di nuovo epicentro di gravi tensioni.
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