Fermi al palo per il Covid? E’ il momento buono per convertirsi al digitale

Un calcione digitale. Potremmo chiamarlo così quello che è capitato fra capo e collo a tantissime imprese italiane, grandi e piccole, colpite dal Coronavirus e impreparate a modificare il proprio lavoro in remoto, costrette a fare i conti con una nuova società immateriale, virtuale, eppure così tanto reale quand’è il momento di tirare le somme. I pericoli più comuni, in queste circostanze, sono due: il fai da te, con assemblaggio casuale di informazioni ricevute da amici, oppure l’intestardirsiad ammodernare quel tanto che basta il proprio profilo di impresa o di libera professione, in attesa che tutto torni come prima. Un po’come continuare a pagare in lire quando è in vigore l’euro (magari, direbbe più d’uno…).

Cosa fare? Le potenzialità della trasformazione digitale sono notevoli, a patto che si conoscano a fondo le esigenze di chi ne gode i benefici. L’azienda con centinaia di fornitori e dipendenti ha bisogno primario di rendere efficiente la contabilità, la gestione del personale nonché lo scambio di informazioni con ciascuno di loro e un’efficiente digitalizzazione è come mettere il turbo al motore. Il libero professionista sogna ogni giorno di liberarsi dal baule di pratiche burocratiche che si trascina dietro come un somaro, mortificando le proprie competenze a scapito suo e dei suoi clienti. E ovviamente ci potremmo mettere dentro i tanti uffici pubblici o gli stessi ospedali, che vedono i medici sempre più impegnati in procedure al computer che andrebbero automatizzate e implementate, privilegiando il contatto col paziente, la ricerca sul campo.

Sentire un esperto in questi casi aiuta. Meglio ancora se giovane come Loris Basso, responsabile commerciale di Hr Management, costola tecnologica del Gruppo Centro Paghe, azienda leader nazionale nella gestione delle risorse umane per aziende e professionisti. “Comincerei col suddividere in tre aree la trasformazione digitale: selezione del personale, formazione e ricerca, investimenti in digitale (parliamo di infrastrutture e di software gestionali innovativi che includono strumenti come i Social e il Mobile). Per far questo occorre però un primo passo essenziale, quello che a noi esperti costa maggior impegno ma che è essenziale per operare un cambiamento profondo e soprattutto proficuo: bisognaessere disposti a innovare sé stessi, che si faccia l’imprenditore, il libero professionista e perfino il dipendente. Perché un cambiamento del genere va guidato, cavalcato, non subìto.
Una volta intrapresa la scelta ci si può spingere molto avanti, con le novità a volte entusiasmanti che consente l’intelligenza artificiale, un fronte sul quale HR punta molto, in particolare nel cosiddetto recruiting, il reclutamento. Un esempio classico? Esistono algoritmi studiati per individuare e analizzare i curricula e trovare velocemente la corrispondenza puntuale tra le competenze ricercate dall’azienda e quelle dei candidati. Sono ricorso a questo esempio per far capire che parliamo sempre e comunque di persone, delle loro capacità, della loro voglia di fare e di rendersi utili. I computer e i software sono solo strumenti”.

Concetti, a dire il vero, che sarebbero dovuti essere digeriti ben prima dell’ondata pandemica. Ora, tuttavia, il Coronavirus ha aggiunto ulteriori richieste tecnologiche, dovute al distanziamento se non addirittura alla separazione fisica tra lavoratore e ufficio, tramite lo smart working. E anche qui c’è molto da dire: “In realtà lo smart workingha molte declinazioni”, prosegue Basso. “C’è il remoteworking o l’activity basedworking, ovvero il lavoro basato sulle attività. Cambia la stessa cultura del lavoro, non più basata solo sul numero di ore trascorse lavorando ma sul raggiungimento degli obiettivi, non a caso smartletteralmente significa agile, intelligente, a sintetizzare una nuova cultura lavorativa. Impossibile governare una simile rivoluzione con vecchie buste paga e stantie organizzazioni dei turni di lavoro. Noi di HR Management abbiamo gli strumenti per rilevare non solo la presenza del lavoratore ma la qualità del suo impegno. Basta una semplice App - ma bisogna saperla individuare perché il campo è pieno di trappole - per dialogare con i propri dipendenti, nella massima e reciproca libertà. Con benefici per il datore di lavoro e per il welfare aziendale. E poi la sicurezza, altro capitolo essenziale. Anche qui bisogna conoscere a fondo la materia per evitare rischi seri. Bisogna capire in che modocondividere i dati, attribuire ruoli e autorizzazioni, installare i giusti antivirus e firewall.
Insomma, noi di HR ci siamo. Il nostro successo, pure in tempi di pandemia, dovrebbe convincere i più restii. Anche perché o lo si fa ora o potrebbe essere troppo tardi. Quando si riprenderà a lavorare a pieno regime la partenza dev’essere bruciante se no si resta al palo”.
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