I jeans diventano sostenibili con gli enzimi top secret di Ca’ Foscari
Il progetto per tingere il denim senza utilizzare sostanza chimiche. La docente Semenzin: «Rivoluzione della colorazione». Capofila è l’azienda danese Nordic Blue, il progetto inizierà nell’aprile 2026

Il nome del progetto suona complicato: “Biosolution for Denim Dyeing within the Planetary Boundaries”, “Greendigo”.
Tradotto, “Biosoluzioni per la tintura del denim nei confini planetari”. In sostanza, come tingere i jeans con il caratteristico indaco, ma in modo completamente (e davvero) sostenibile.
Il progetto partirà nell’aprile 2026, grazie al bando European Pathfinder Open: insieme a Ca’Foscari, c’è capofila l’azienda danese Nordic Blue, poi un ateneo privato finlandese e una società olandese che ha guidato la presentazione della candidatura.
L’obiettivo è sviluppare il primo metodo di tintura per denim completamente enzimatico a base biologica, scalabile, sicuro e sostenibile. Si sostituirà quindi l’indaco convenzionale (derivato da combustibili fossili) con un metodo di tintura enzimatico.
Una rivoluzione che sarebbe cruciale in una regione come il Veneto, culla del jeans, in un asse da Verona a Treviso passando per il padovano, con marchi da Diesel di Renzo Rosso a Gas, Replay, Jacob Cohen.
«Gli enzimi sono cruciali per differenziarsi dal processo chimico», spiega Elena Semenzin, docente di chimica dell’ambiente e delegata della rettrice alla sostenibilità, che guida il team di ateneo coinvolto nel progetto.
«Gli enzimi servono a far accadere il processo. In quello chimico, ho sostanze che utilizzo per far accadere delle trasformazioni e colorare il tessuto. Nel progetto si parte da materiali “bio-based” e la colorazione del tessuto avviene con gli enzimi, senza aggiungere sostanze chimiche come l’idrosolfito di sodio».
Per ora, non si può scendere ulteriormente nei dettagli: il processo è ancora “top secret”. «Nordic Blue è nata da uno spin off universitario, con una tecnica danese che ha come obiettivo di rivoluzionare la colorazione dei blu jeans». Finora, c’è qualche pubblicazione in merito con qualche tentativo in Europa e negli Stati Uniti, ma di fatto è un territorio tutto da esplorare.
«La spinta ulteriore è valutare non solo la sicurezza chimica, ma la sostenibilità assoluta», continua Semenzin, «quando si parla di sicurezza chimica, si utilizza l’analisi del rischio con una soglia ben precisa. Qui il discorso è più complesso, non ci sono soglie. Starà a noi trovarle studiando la capacità di carico a livello globale del metodo che noi utilizzeremo».
Rispetto al budget, a fronte di 2. 087 domande progettuali ne sono state finanziate solo 45 per un valore di 142 milioni, e “Greendigo” è una di queste. Quindi, il massimo che poteva chiedere ciascun progetto è di circa tre milioni di euro.
“Greendigo” combinerà ingegneria enzimatica all’avanguardia, biologia sintetica e chimica tessile con una valutazione avanzata della sostenibilità per garantire che il processo sia economicamente sostenibile, ambientalmente sicuro e allineato ai confini planetari (“planetary boundaries”), per essere rigenerativo a lungo termine.
Se avrà successo, “Greendigo” getterà le basi scientifiche e tecnologiche per una nuova classe di coloranti tessili di origine biologica, consentendo la reindustrializzazione della tintura del denim secondo rigorosi standard ambientali.
Il progetto sostiene le principali priorità dell’Unione Europea, tra cui il Green Deal, la strategia per un tessile sostenibile e circolare e gli obiettivi di inquinamento zero.
Salutando quindi gli agenti riducenti tossici come l’idrosolfito di sodio che causa, soprattutto nell’Asia meridionale e sud-orientale, inquinamento idrico diffuso, oltre che input elevati di energia.
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