L'esercito degli invisibili del lavoro, il Covid cancella 38 mila precari: "Espulsi senza tutele"

In Veneto le devastanti conseguenze dell'epidemia, pagate da una schiera di decina di migliaia di persone senza tutele e ora anche senza occupazione. La testimonianza di un tecnico del suono «Nessun bonus Covid, ho lavorato un mese per Amazon e ora sono a casa»

Sono oltre 10 mila i precari padovani espulsi dal mercato del lavoro nel 2020. Un esercito di contratti a tempo determinato ed interinali ma anche di ritenute d'acconto, lavoratori intermittenti e così via che non hanno usufruito delle tutele previste dal Governo in termini di blocco dei licenziamenti né di Cassa integrazione Covid. Secondo le stime di Veneto Lavoro, a livello regionale le giornate lavorate dai soli contratti a termine sono calate del 20% (da 64 milioni nel 2019 ai 52 milioni del 2020).

In sostanza, è come se 38 mila occupati precari (a 40 ore settimanali e continuativamente per 11 mesi) fossero svaniti nel nulla e con essi pure i loro stipendi e la loro capacità di spesa. A Padova la Cisl territoriale stima in circa 8000 i precari "equivalenti" spariti dal mercato del lavoro per un monte stipendi che va ben oltre i 100 milioni di euro.

Cifre molto più alte di quelle relative ai soli saldi occupazionali (assunzioni-licenziamenti) che in provincia di Padova, come quasi ovunque in Regione, sono addirittura negativi (-950), un fenomeno mai registrato dal 2014 a oggi.

«Il calcolo di Veneto Lavoro parte da una valutazione del numero delle giornate di lavoro dei soli tempi determinati e le divide per i giorni medi lavorativi tra gennaio e novembre. La cifra che emerge è quella di 38 mila precari veneti "equivalenti"» spiega Francesca Pizzo, segretaria organizzativa della Cisl di Padova e Rovigo. «Sappiamo tutti per esperienza che questa è una cifra teorica, perché difficilmente tutti i lavoratori risultano occupati continuativamente e a tempo pieno per un periodo di tempo così lungo ed omogeneo.

Questo numero, applicato alla realtà peculiare di Padova dove il settore dei servizi, con le sue fragilità contrattuali è più forte si può trasformare, per difetto, in circa 8.000 lavoratori equivalenti, cioè tempi determinati che a differenza del 2019 non hanno lavorato neppure un'ora, con tutte le conseguenze del caso. A questi si aggiungono alcune migliaia di professionisti poco tracciabili perché non provviste di partita Iva che nella migliore delle ipotesi hanno potuto contare, tra marzo e oggi, su un totale di 3.200 euro di bonus Covid».

Una galassia fatta di maestre di danza e personal trainer, insegnanti di musica e di yoga, attori, cantati, insegnati di nuoto e allenatori, diventati invisibili con il dilagare della pandemia. «Ho fatto il tecnico del suono per 15 anni nei teatri di mezza Europa» racconta Pietro Chinello dell'associazione Maestranze Veneto.

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94 years old woman and her family.

«Questa primavera, se non ci fosse stato il Covid, sarei dovuto partire per una tournée in Argentina ma è saltato tutto, come del resto la gran parte del mio lavoro. Alla fine di febbraio eravamo a Cividale del Friuli per un lavoro e abbiamo rischiato di restarci a causa del primo lockdown. Da quel momento non ho più lavorato. Ho cercato di accedere ai Bonus Covid e la prima tranche mi è stata data, salvo poi ricevere la notizia che avrei dovuto restituirlo perché titolare di un contratto a tempo indeterminato a chiamata. Ho fatto qualcosa in streaming e qualche lavoro in estate e a Natale sono andato a lavorare un mese per Amazon, il contratto mi è scaduto il 24 dicembre. Ora punto sull'Anaspi e incrocio le dita».

Le maglie delle tutele governative sembrano essere state troppo lasche per molte categorie. «Nel mondo del precariato hanno avuto un ruolo cruciale più l'Anaspi e il reddito di cittadinanza, con tutti i suoi limiti, che cassa integrazione e Bonus Covid» spiega Luca Dall'Agnol di Adl Cobas.

«In un Paese dove le tipologie contrattuali sono un numero enorme i lavoratori intermittenti a tempo indeterminato, questi non hanno avuto accesso ad alcuna tutela per lo meno inizialmente. Le iniziative prese dal Governo si sono in effetti dimostrate necessarie anche se largamente insufficienti e fonte spesso di ingiustizie che possono essere superate solo con un reddito minimo garantito a tutti coloro che per vivere devono lavorare. Va ricordato poi che il Covid ha allargato la forbice delle differenze tra garantiti e precari, giovani e meno giovani, uomini e donne, infierendo sempre suoi più deboli». --

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