Lavoro e immigrazione, il Veneto dovrà accogliere mezzo milione di stranieri
Ricerca della Fondazione Nord Est: «La diminuzione dei 18-34enni assume una connotazione ancor più negativa perché si associa alla scarsa attrattività»

Il Nord Italia, Veneto compreso, si appresta a vivere una “glaciazione demografica”. Ciò abbasserà il potenziale di crescita, destabilizzando la sostenibilità del debito pubblico e riducendo la capacità di affrontare le transizioni verde e digitale. Senza contromosse efficaci le ripercussioni principali le avremo sistema produttivo e welfare state. Al 2040 serviranno tra 207mila a 249mila lavoratori da fuori regione. Dal 2023 al 2040 il Veneto perderà infatti (senza apporti esterni) l’8% degli abitanti, ovvero circa 387mila persone. A questo si aggiunge la “sparizione” di una fetta importante dei giovani tra i 18 e 34 anni: dal milione del 2023 in Veneto se ne perderanno 355mila al 2040.
Fondazione Nord Est ha diffuso una ricerca di Luca Paolazzi (direttore scientifico) e Lorenzo Di Lenna (ricercatore junior), che individua quattro contromosse: attrarre e valorizzare i giovani, coinvolgere pienamente le donne, rinviare il pensionamento e accogliere più immigrati. Quest’ultima contromossa richiede capacità di accoglienza e integrazione. Nei prossimi anni mancheranno all’appello in Italia tra i 794mila e 1,1 milioni di lavoratori. Dobbiamo così prepararci ad accogliere nei prossimi 17 anni tra 1,5 e 2,2 milioni di stranieri. Il numero si spiega con il tasso di occupazione degli immigrati, che è un po’ più alto di quello degli italiani e poco sopra il 50%. Cioè, per avere un lavoratore straniero aggiuntivo occorre attrezzarci per accoglierne due (quindi in Veneto arriveranno tra 413 a 498mila persone).
«Questi numeri servono a far ragionare sulle enormi sfide che la “glaciazione demografica” porrà al mercato del lavoro del Nord Italia e quindi alle imprese che vi operano» scrivono Paolazzi e Di Lenna nella ricerca «non c’è tempo da perdere e tutta la classe dirigente del Paese è chiamata a dare risposte concrete. Usiamo il termine “glaciazione”, anziché il più diffuso “inverno demografico”, perché non c’è nulla di naturale e regolare, come il succedersi delle stagioni. È la prima volta nella storia dell’umanità che la popolazione diminuisce non per guerre, epidemie, carestie o cataclismi».
La diminuzione dei 18-34enni assume una connotazione ancor più negativa perché si associa alla scarsa attrattività che determina la fuoriuscita di giovani italiani dal Paese, e specialmente dalle regioni settentrionali. Fondazione Nord Est ricorda che l’attrazione e la valorizzazione dei giovani costituisce la leva più potente per attenuare le conseguenze della glaciazione. E il Veneto è tra le regioni con la minore attrattività. Servono, tra gli altri, infrastrutture digitali e servizi per la famiglia; Università più internazionali; retribuzioni legate al merito e non all’anzianità; responsabilizzazione e autonomia decisionale; disponibilità di alloggi; maggiore innovazione nelle imprese. Altra potente leva per contrastare il calo occupazionale è la piena partecipazione delle donne alla vita lavorativa. Servono però servizi che aiutano ad alleggerire il loro gravoso compito di accudimento all’interno della famiglia. Non può esserci attrattività verso i giovani in un sistema sociale che discrimini ancora le persone in base al genere.
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