Zico, il bello del calcio: ascesa, gloria e eredità del geniale campione che conquistò il Friuli

Da Rio de Janeiro a Udine il fuoriclasse brasiliano è ancora un idolo. Intervista pubblica giovedì 5 giugno a Palazzo Giacomelli di Treviso. Presto sarà in Friuli per i 40 anni dell’Udinese club a lui intitolato

Massimo Meroi

C’era una volta... Un po’ tutte le storie cominciano così, anche quella di Arthur Antones de Coimbra, detto Zico, uno dei più grandi calciatori della storia del calcio. E allora ecco che c’era una volta un ragazzino piccolo e magro, quasi fragile che giocava a pallone per le strade polverose di Quintino, un sobborgo di Rio de Janeiro.

Si chiamava Arthur, un giorno tutto il mondo lo avrebbe conosciuto come Zico, diminutivo di Galinho, “Galletto”. A Sport Business Forum sarà ospite nell’evento di apertura del festival, giovedì 5 giugno a partire dalle 10, a Palazzo Giacomelli.

Ultimo di sei figli, Zico era il cucciolo di casa. Papà Josè Antunes e mamma Matilde gli hanno insegnato il rispetto per le persone e per il lavoro. «Mio padre faceva il sarto – ha raccontato –, io andavo nel suo negozio al termine della scuola e vedevo con quale attenzione e precisione lavorava. Il suo obiettivo era non far tornare il cliente per correggere qualche eventuale difetto del capo d’abbigliamento».

Il suo lavoro è stato il calcio. «Un divertimento più che un lavoro, sono stato pagato per fare la cosa che mi piaceva di più fin da bambino».

Zico ha cominciato a giocare in strada. E già lì il pallone lui non lo prendeva a calci, lo accarezzava. Ogni passaggio era una promessa, un gol una sorta di poesia. Ha fatto tutta la trafila nel Flamengo, la squadra più importante e con più tifosi di Rio. Arrivava dal popolo e per questo la gente rossonera si è sempre rivista in lui e lo ha adorato più di qualunque altro campione.

Aveva vent’anni quando, alla sua prima stagione da professionista, si mise la maglia numero 10 del “Fla” sulle spalle. Non se l’è tolta fino a quando, dieci anni dopo, arrivò ad acquistarlo, tra lo stupore generale, l’Udinese. In quei dieci anni il Galinho è diventato leggenda: un idolo amato da tutte le tribune del Maracaña, dove il suo nome veniva cantato come una preghiera. Con lui, il Flamengo conquistò il Sudamerica e poi il mondo, piegando il Liverpool nella finale delle Coppa Intercontinentale.

Era il 1981 quando a Tokyo i rossoneri batterono 3-0 i Reds. Zico non segnò, mandò in porta i compagni, non a caso vinse il premio di migliore in campo, una Toyota che ancora oggi fa bella mostra nella sua casa di Rio.

In Brasile oggi che ha 72 anni Zico è ancora un dio. Pagano, ma pur sempre un dio. Quando due anni fa i suoi amici del club di Orsaria andarono a trovarlo per i suoi 70 anni, sulla spiaggia di Copacabana si presentarono con un asciugamano bianco con la faccia stilizzata del Galinho. Davanti a quell’immagine la gente si inginocchiava.

A Udine non è così, la dimensione geografica, ma anche emozionale, è diversa. Eppure a distanza di oltre quarant’anni, quando torna è sempre un evento. A inizio giugno Zico sarà in Friuli per festeggiare i 40 anni dell’Arthur Zico club di Orsaria.

Al presidente Alessandro Scarbolo e al sindaco di Premariacco Michele De Sabata lo lega una forte amicizia consolidata negli anni.

Il Galinho si fida di loro e loro si fidano di lui. I “dodici apostoli” quando sono andati a Rio nel marzo del 2023 sono stati accolti in casa del “Messia” come amici di famiglia da Junior, il figlio maggiore di Zico, promotore della festa a sorpresa per papà con i suoi amici friulani.

Ecco, amicizia è la parola che spiega meglio di qualsiasi altra il rapporto di Zico con i friulani. Quando nel 1983 l’Udinese di Lamberto Mazza lo acquistò con una operazione impostata dall’allora ds Franco Dal Cin, Zico divenne il simbolo del Friuli in tutto il mondo.

Gli echi del terremoto del 1976 non si erano ancora spenti, la “Piccola Patria” stava rinascendo e Zico sarebbe diventato una sorta di riscatto sociale per il popolo friulano.

Lo scudetto, che poi sarebbe stato vinto da una squadra del Nord Est due anni dopo (il Verona nel 1985), per qualche mese diventò davvero il sogno di Udine e del Friuli. Zico nelle prime tre partite di campionato segnò cinque gol, di cui tre su punizione; in qualunque piazza dove l’Udinese andava a giocare faceva il tutto esaurito, tutti volevano vedere all’opera dal vivo l’asso brasiliano, in quel momento il più forte calciatore al mondo con Platinì e Maradona.

Il progetto scemò poco dopo metà stagione: le prime frizioni tra Mazza e Dal Cin, la crisi della Zanussi. Zico, per infortunio, saltò cinque partite, sufficienti per far perdere all’Udinese il treno per l’Europa. Rimase un altro anno, rifiutando le avance di Milan e Roma. Non tradì Udine e nel 1985 se ne tornò al Flamengo.

La Zebretta è rimasta la sua unica squadra italiana, come il” Fla” in Brasile. Forse è per questo che a distanza di tanti anni è amato come se avesse conquistato con l’Udinese un titolo.

Zico è rimasto uno di famiglia. Oggi a settantadue anni è nonno di nove nipoti, ma soprattutto è rimasto fedele al suo personaggio: un uomo sobrio, gentile, fedele al suo stile, mai sopra le righe e mai schiavo del suo personaggio. Ha vinto tutto meno la Coppa del Mondo.

Ma per chi ama il calcio come arte, emozione e umanità Zico ha vinto tutto. Con la consapevolezza di chi sa di aver dato al gioco il meglio che poteva dare: bellezza ed emozione.

Riproduzione riservata © il Nord Est