Moser e le due rinascite: «Quella del Friuli assomiglia al mio record dell’ora»
Il grande campione venerdì tornerà a Gemona: al Giro 1977 arrivò in maglia rosa tra le macerie. «Le scosse di settembre ci sorpresero al Giro del Friuli, poi tornammo l’anno dopo per ricordare la tragedia».

Rinascita. Francesco Moser – 273 corse vinte in carriera, a 74 anni in formissima, semplicemente un mito del ciclismo, uno che per anni se dicevi bicicletta ti rispondevano Moser o al massimo «no io tifo Saronni ma anche Moser è fortissimo», perché non come ora l’Italia era il centro di gravità permanente di questo sport – da dove partiamo?
«Da quella del Friuli, una terra meravigliosa e da Gemona, dove ci vedremo venerdì a “Sport Business Forum”. Perché non si può che partire ricordando quella tragedia che colpì il nostro Paese ormai quasi 50 anni fa. C’è una cosa che mi ha colpito molto su tutte in questi anni in cui sono tornato dalle vostre parti».
Quale?
«Beh, già nemmeno dieci anni dopo tornando in Friuli si respirava un’aria di rinascita. Le case erano state ricostruite così come erano prima di quei giorni maledetti, la gente le ha volute ricostruire così, recuperando anche le vecchie pietre».
Gemona e Venzone sono state ricostruite proprio così...
«Mentre, ad esempio, all’Aquila e in Abruzzo, altra terra meravigliosa, la gente aspetta ancora il pieno completamento della ricostruzione».
Che ricordi ha di quel 1976?
«Un anno prima avevo debuttato al Tour de France prendendo la maglia gialla nel prologo di Charleroi beffando un certo Eddy Merckx, in quel 1976 volevo tornare al Giro per fare bene. Ma alla partenza da Catania, 50 anni fa il Giro partiva ancora verso la metà di maggio, la vigilia fu turbata proprio dalle notizie che arrivavano dal Friuli. Morte, distruzione. Lo sport, il ciclismo che è uno sport di strada, seguito dalla gente in strada, non può restare indifferente a tragedie del genere. Vinsi tre tappe in quella corsa rosa, ricordo bene che noi corridori devolvemmo tutti i premi conquistati in quel Giro proprio alle vittime del Friuli».
La prima corsa in Friuli dopo il terremoto?
«Proprio il Giro del Friuli, corso mentre la terra tremava ancora. Lo ricordo come adesso. Era il settembre 1976, alloggiavamo in un albergo a Pordenone quando arrivò la forte scossa che fece ripiombare di nuovo la vostra terra nel terrore. Quella gara la ricordo ancora, finii secondo, noi combattevamo a colpi di pedale per conquistare un trofeo e la terra intorno che tremava con la gente divisa tra la paura e la voglia di vivere un momento spensierato al passaggio della corsa. La terra quel giorno continuò a tremare, anche se noi in bici mica la sentivamo tremare».
Al Giro 1977 Gemona...
«Una tappa indimenticabile. In origine la frazione doveva essere la Trieste-Conegliano, il grande patron Vincenzo Torriani s’inventò durante l’inverno una modifica del tracciato con l’inserimento di due semitappe, la Trieste-Gemona e la Gemona-Conegliano proprio per rendere omaggio a quelle terre martoriate e per dare un segno tangibile di vicinanza alla popolazione. Ricordo bene quella volata di Demeyer, ci fecero arrivare a Gemona bassa perché il centro storico era completamente distrutto. Intorno c’erano ancora cumuli di macerie. Ricordo bene quel paio di ore di sosta tra l’arrivo della prima semitappa e la partenza della seconda con il pranzo tra le rovine. Io ero in maglia rosa in quel Giro, l’avrei persa due giorni dopo sulle Dolomiti da Pollentier, ero il più acclamato. Da come ci accolsero quel giorno, noi corridori percepimmo chiaramente la volontà di quella gente di rinascere. Ho corso in bici per oltre vent’anni, ho girato il mondo, ho vinto tanto, ho anche perso, quella giornata è stata una tra le più intense della mia carriera. L’Italia, il Paese intero, si mobilitò per il Friuli. Ricordo che anche dalla mia Palù di Giovo in Trentino gli alpini in congedo partirono per aiutare il Friuli, mi pare di ricordare che andarono a dare una mano a Buja».
Il paese di un’altra maglia ciclamino del Giro come lei: Jonathan Milan.
«Vede che le cose non nascono mai a caso e i campioni non emergono mai da un contesto banale. Ma ci ritorneremo a Milan perché prima c’è la mia rinascita...».
Vero. Che, se non ricordiamo male, iniziò proprio dal Friuli...
«Davvero?».
Giro 1983, Saronni vince a Udine, arrivo scelto per festeggiare il millenario della città, lei finisce quel Giro male. In molti la danno per finito. Invece?
«Arriva la svolta della mia carriera. Il professor Conconi e l’equipe Enervit: mi propongono nuove tecnologie, allenamenti mirati, cardiofreequenzimetro, alimentazione, bici con le ruote lenticolari e il manubrio speciale con l’obiettivo di battere il record dell’ora».
E lei?
«Ci credo, sempre più. Perché con il passare degli alleamenti vedo che la cosa funziona. Batto il record dell’ora e inizio quel 1984 magico che passò poi per la vittoria della Milano Sanremo e di quel Giro d’Italia, che tanto avevo sognato. Poi batto un record dell’ora all’anno e corro altre quattro stagioni con altri due podi al Giro. Non è un caso che l’Enervit ora accompagni la carriera, tra gli altri, di due giganti come Pogacar e Sinner».
Pogacar-Merckx: il paragone regge?
«Beh, ad ogni grande vittoria dello sloveno il paragone regge sempre più. Ho corso con Merckx, l’ho anche battuto a Charleroi nel prologo del Tour del 1975 che poi avrebbe perso da Theuvenet. Era formidabile. Lo sloveno per essere come Eddy deve continuare con questo ritmo per qualche anno ancora. Non sarà facile perché ha uno stile di corsa molto dispendioso, attacca sempre, è uno spettacolo, guardate cosa ha fatto al Tour ma anche come si gioca e vince gare a lui non certo congeniali come il Fiandre, la Sanremo o la “mia” Roubaix».
Moser, infine, parliamo della rinascita del ciclismo italiano? Quando?
«Intanto quando torneranno a esserci squadre italiane, perché ora di alto livello non ce ne sono più, quando invece ai miei tempi e fino a 15 anni fra, ancora dominavano il panorama mondiale. Poi quando queste squadre daranno fiducia ai nostri talenti e daranno loro ruoli chiave. Ora quei pochi campioni che abbiamo, e voi in Friuli ne avete uno che si chiama Milan, che dopo aver vinto tutto su pista si è affermato come uno dei più forti velocisti al mondo e l’ha dimostrato nel palcoscenico più importante del Toru del France, devono andare a correre all’estero. Da Milan, Ganna e anche Giulio Pellizzari, che anche alla Vuelta ha fatto bene e si sta confermando un vero talento per le gare di tre settimane, per le corse a tappe si può ripartire».
Moser ci rivediamo venerdì a Gemona...
«Molto volentieri, lo voglio rivedere quel centro storico ricostruito alla perfezione. È una rinascita che assomiglia tanto al mio record dell’Ora in Messico. Tornerò indietro di 49 anni». Quando il ciclismo italiano era al centro del mondo, c’erano campioni, corse a bizzeffe anche al sud e sponsor milionari.
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