Gemona ospita Sport Business Forum: storie di caduta e riscatto con Moser, Schwazer e Compagnoni

La città friulana ospiterà l’evento il 19 e 20 settembre. Il terremoto del 1976 incrocerà la storia di atleti capaci di risorgere

Giancarlo Padovan
Deborah Compagnoni durante la Coppa del Mondo a Sölden nel ’98
Deborah Compagnoni durante la Coppa del Mondo a Sölden nel ’98

Non è solo retorica. Anzi, è profondamente vero che chi cade può risorgere e, soprattutto, è in grado ancora di ripartire più spedito di prima. Sport Business Forum, in versione settembrina (19-20), si presenta a Gemona e riannoda i fili tra la città friulana, che pagò uno dei prezzi più alti al terremoto del 6 maggio 1976 (400 morti), e lo sport praticato e sofferto, l’esempio tangibile che, a volte, si può ripartire anche dal punto più basso.

Tuttavia non si tratta solo di un legame metaforico, c’è proprio tutto un percorso di dolore, sofferenza, sacrificio, resurrezione. Certo, sono valori d’impronta calvinista, che però si accoppiano in modo indissolubile quando c’è da risalire la china.

Gemona è città dello sport. Non solo perché vi ha trovato sede una facoltà di Scienze Motorie, ma anche perché l’offerta del territorio - come dice il sindaco Roberto Revelant - contempla moltissimo: dalle attività acquatiche sul lago al trekking. Ovviamente, Gemona è una città simbolo perché era stata ferita a morte e ha saputo rinascere, esattamente come accade a uno sportivo quando, cade, sbaglia, si rompe e la prima cosa che fa (e deve fare) è non lasciarsi andare, scacciare disperazione e depressione, rimettersi in piedi, farsi operare, affrontare una lunga e snervante riabilitazione, muovere i primi passi (anche con la testa, soprattutto con la testa), crederci, resistere alle tentazioni, stringere i denti. E provare, riprovare, insistere.

 

Alex Schwazer con i colori dell’Atletica San Biagio nel giorno del suo debutto con la società veneta.
Alex Schwazer con i colori dell’Atletica San Biagio nel giorno del suo debutto con la società veneta.

Tra i molti protagonisti di questa due giorni di settembre a Gemona oggi vi vogliamo parlare di Deborah Compagnoni, Alex Schwazer e Francesco Moser. Tre campioni della resilienza e della fatica.

Deborah è la sciatrice più vincente di sempre e la prima ad aver conquistato tre medaglie d’oro in tre differenti edizioni dei Giochi Olimpici invernali. Oltre a queste e ad un altro argento olimpico, il suo palmares è arricchito da tre ori mondiali, una Coppa del mondo nel gigante e quarantaquattro podi in Coppa.

Eppure avrebbe potuto vincere di più se gli infortuni non avessero costellato la sua carriera di una serie di buchi neri. Il più conosciuto e drammatico fu quello di Albertville, nel 1992, durante la gara di gigante, con l’atroce grido di dolore che trafisse i cuori di tifosi e appassionati collegati in diretta televisiva. Anche in quel caso seppe riprendersi nonostante la gravità dell’incidente (saltati i legamenti di un ginocchio) e riproporsi ad altissimi livelli. Ascoltare dalla sua voce la storia della sua vicenda sportiva, e la capacità di uscirne, sarà uno degli appuntamenti più attesi dell’intera manifestazione.

Francesco Moser
Francesco Moser

Dalla redenzione fisica a quella morale. O, forse, meglio sarebbe dire, spirituale, con la storia di Alex Schwazer. Marciatore azzurro di spicco e riferimento, campione olimpico nella 50 chilometri ai Giochi di Pechino nel 2008, quatto anni dopo, cade inopinatamente nella tentazione del doping. Alla vigilia dell’Olimpiade di Londra, una positività accertata lo porta ad una squalifica di tre anni e mezzo. Alex confessa, si pente, paga. Nonostante un percorso di espiazione e contrizione, seguito passo, passo dall’integerrimo allenatore Sandro Donati, un paladino della lotta al doping, Alex viene nuovamente accusato nel 2016 e squalificato per otto anni. Una mazzata tremenda e ingiusta. Il tribunale di Bolzano, infatti, archivia il secondo procedimento penale per doping, ritenendo il marciatore vittima di una macchinazione: qualcuno aveva alterato i campioni delle sue urine.

Infine Francesco Moser e la sua macchina umana, possente, quasi perfetta. Nonostante questo, al Giro del 1983 si ritira in maniera anonima. I più pensano che sia finito. Invece, in silenzio e lavorando duramente su se stesso, prepara una stagione strepitosa: a gennaio sale a Città del Messico e stabilisce il record dell’ora (51.151 chilometri), in primavera vince la Milano-Sanremo e a ridosso dell’estate, il suo unico Giro d’Italia. Dal buio al trionfo. 

Riproduzione riservata © il Nord Est